Home C'era una volta Fernando Sancho, il messicano del western all’italiana

Fernando Sancho, il messicano del western all’italiana

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Il 7 gennaio 1916 nasce a Saragozza, in Spagna, Fernando Sancho. La sua immagine per gli appassionati del western all’italiana è quella del messicano per eccellenza. La sua faccia larga e baffuta con la risata pronta e spesso falsa è entrata nell’immaginario del pubblico e nella storia delle caratterizzazioni del genere come quella del bandito destinato fin dall’inizio a soccombere nel confronto con il protagonista.

Nessuno è stato bandito più di lui

Nel decennio in cui si è sviluppata l’intera epopea del western all’italiana nessuno più di Fernando Sancho ha interpretato il ruolo del bandito messicano. Si racconta che gli stessi sceneggiatori dovendo tratteggiare questa figura nella fase di preparazione dei film la disegnassero direttamente su di lui attribuendo direttamente il suo nome al personaggio. fa la sua prima esperienza cinematografica nel 1944 quando a soli diciott’anni partecipa alla realizzazione di “Orosia”, un film spagnolo mai arrivato in Italia. Nel dopoguerra, come molti altri aspiranti attori, sbarca a Roma intenzionato a cercare fortuna a Cinecittà, in quel periodo cuore pulsante della cinematografia mondiale grazie anche al trasferimento sulle rive del Tevere di molte produzioni hollywoodiane. La sua faccia particolare e l’imponenza del suo fisco non sfuggono ai responsabili dei cast, sempre alla ricerca di caratteristi.

Personaggio di grande cultura

Dopo aver partecipato a vari film, facendosi notare soprattutto in alcuni film mitologici come “Goliath contro i giganti” e soprattutto in “Arrivano i Titani”, viene scritturato anche per tre produzioni hollywoodiane come “Il Re dei Re” nel quale interpreta il pazzo, “Lawrence d’Arabia” (è lui il sergente turco che arresta Lawrence) e “55 giorni a Pechino”. Personaggio di grande cultura e con uno spiccato senso dell’umorismo è molto amato da registi e produttori perché sa mettere le sue abilità da caratterista al servizio delle storie. Negli ultimi anni della sua carriera diventa uno dei personaggi di culto dei film horror. Muore di cancro a Madrid il 31 luglio 1990. Tra le innumerevoli battute dei suoi personaggi western la più citata resta ancora oggi quella pronunciata nei panni di Gordon Watch nel film “Arizona Colt” di Michele Lupo: «Un giorno mio padre mi disse: quando sarò morto questo orologio sarà tuo. Cinque minuti dopo l’orologio era mio».

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".