Home C'era una volta Joy to the world, un inno generazionale

Joy to the world, un inno generazionale

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Il 17 aprile 1971 i Three Dog Night arrivano al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti con Joy to the world, il brano che più e meglio di altri è divenuto l’emblema dello straordinario successo ottenuto dalla band a cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta.

Un gruppo di grande successo

Joy to the world mantiene per sette settimane in vetta alla classifica un gruppo dal palmarés ragguardevole: quindici milioni di dischi venduti con ben undici dischi d’oro per gli album e altrettanti per i singoli. Il brano diventerà uno dei più significativi inni generazionali e nel 1983 verrà recuperato, non a caso, nella colonna sonora del film “Il grande freddo”. Il nucleo centrale dei Three Dog Night è costituito, come suggerisce il nome del gruppo, dalle tre voci di Cory Wells, Danny Hutton e Chuck Negron. Nascono nel 1968 quando al trio si uniscono quattro strumentisti esperti come il chitarrista Mike Allsup proveniente dai Family Scandar, il tastierista Jimmy Greenspoon degli East Side Kids, il batterista Floyd Sneed, già nelle band di Josè Feliciano e Bobby Taylor, e il bassista Joe Schermie, fresco reduce dall’esperienza con i Dyke & The Blazers.

La diffidenza degli hippies

La perfetta intesa tra le voci di Cory, Danny e Chuck e la facilità delle canzoni, scritte dai migliori autori del periodo, sono le ragioni fondamentali della rapida affermazione dei Three Dog Night che, a partire dal 1969, collezionano una lunga serie di successi. Guardati con sospetto dal movimento hippie, che li considera troppo commerciali, sono invece molto amati dagli autori. Per loro scrivono personaggi come Randy Newman, Russ Ballard, Paul Williams e, soprattutto, Leo Sayer che regala ai Three Dog Night due canzoni come One man band e The show must go on. Il grande successo di Joy to the world segna il culmine della parabola ascendente della band che progressivamente perde smalto e personalità. Nel 1973 Schermie se ne va e viene sostituito dal bassista Jack Ryland mentre la formazione acquista l’ottavo elemento, il tastierista Skip Conte. È l’inizio della fine. Tre anni dopo anche Danny Hutton saluta la compagnia e cede il suo posto a Jay Gruska, ma la crisi è ormai esplosa. A nulla serve l’assurda decisione dei discografici di aggiungere alla formazione tre componenti dei Rufus come Al Ciner, Ron Stocker e Denny Belfield. In musica come in natura gli innesti artificiali spesso non danno i frutti sperati. In questo caso la forzatura non fa che accelerare la fine. Negli anni successivi sull’onda della nostalgia ci saranno varie riunioni.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".