Home C'era una volta Be-bop-a-lula? Non è un granché…

Be-bop-a-lula? Non è un granché…

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Il 4 maggio 1956, negli studi della Capitol a Nashville entrano cinque strani ragazzi che, sulla base di un fresco contratto, dovrebbero registrare il loro primo disco. Li guida un arruffato ventunenne dall’andatura zoppicante per i postumi di un incidente stradale avvenuto un anno prima. Si chiama Eugene Vincent Craddock e si fa chiamare, per brevità, Gene Vincent. Non ha un lavoro fisso, ma si diletta a comporre canzoni e a suonarle nei locali della zona di Norfolk, in Virginia, dove abita.

Un gruppo di amici

I suoi compagni sono i Blue Caps, una band formata dall’idraulico Cliff Gallup e dal disoccupato Willie Williams alla chitarra, dal bracciante Jack Neal al basso e dal quindicenne studente Dickie Harrell alla batteria. Mentre i due occupati hanno potuto chiedere un paio di giorni di permesso per andare a Nashville, il giovanissimo batterista ha dovuto marinare la scuola per essere della partita. La Capitol li ha scoperti grazie al fiuto di un produttore aperto alle innovazioni come Ken Nelson. Insomma, quella che il 4 maggio entra negli studi di registrazione di Nashville, più che un gruppo musicale è una compagnia di ragazzi animati da tanta buona volontà. Li attende il loro scopritore, quel Nelson che, per metterli a loro agio, li invita a scaldarsi con il brano che preferiscono. Gene Vincent e la sua band eseguono Be-bop-a-lula, un brano firmato dallo stesso Vincent.

Il brano può andare sul lato B

Nelson li ascolta e scuote la testa. «Non è un granché. Va bene per il lato B del disco… fortunatamente ho in serbo un brano di ben altro spessore…». Sulla facciata principale del disco figura così Woman love, mentre a Be-bop-a-lula è riservato il compito di riempire l’altro lato. Questa volta, però, il fiuto e la consumata esperienza di Nelson fanno cilecca. La canzone da lui ritenuta “minore” entrerà nella storia del rock and roll mondiale. Tre settimane dopo la registrazione, un disc jockey di Baltimora inizierà a trasmetterla a tappeto e, in poche settimane il disco scalerà la classifica statunitense, vendendo ben due milioni di copie soltanto nei primi cinque mesi. Sarà anche l’inizio della contrastata carriera di Gene Vincent, un rocker poco amato dall’establishment del suo paese. La violenza dei suoi concerti, la durezza dei testi, la carica provocatoria dei movimenti sul palco e la conclamata dipendenza dall’alcool gli alieneranno di lì a poco la simpatia del pubblico più conservatore e di parte della stampa, aprendo la strada a nuovi eroi dalla faccia perbene come Frankie Avalon e Ricky Nelson.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".