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Acqua, risorsa sprecata

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L’acqua utilizzata per la produzione di beni di consumo rappresenta una voce importante del bilancio dei consumi idrici mondiali. Uno spreco che, spesso, non si vede, ma c’è. Non c’è solo quella che scorre continuamente sotto i nostri occhi, ma anche quella più spesso inosservata durante il ciclo di lavorazione e commercializzazione dei beni che ogni giorno consumiamo, acquistiamo e utilizziamo, come cibo e vestiti.

L’acqua, uno spreco per il nostro pianeta

Queste centinaia di litri di “oro bianco” vengono letteralmente dispersi in uno spreco inimmaginabile per il nostro pianeta.  Uno studio, condotto da Arjen Hoekstra e Mesfin Mekonnen, ricercatori dell’Università di Twente (Paesi Bassi) si concentra proprio sulla quantità di acqua utilizzata per produrre ed esportare beni di consumo da ciascun paese nel periodo compreso tra il 1996 e il 2005, il più recente decennio sul quale si posseggono dati accessibili. L’acqua necessaria per la lavorazione dei prodotti di cui ogni paese usufruisce è stata suddivisa in piovana, proveniente da falde o dalla superficie terrestre e inquinata (quest’ultima categoria si riferisce alla quantità di acqua necessaria a diluire gli agenti inquinanti rilasciati durante i processi produttivi). Ed è una vera emorragia: ognuno di noi esaurisce indirettamente, solamente mangiando, vestendosi e comprando merce, 1.385 metri cubi d’acqua all’anno: l’equivalente di 8.650 vasche da bagno piene.

Alla Cina le acque più inquinate

Ma non tutte le nazioni vantano gli stessi consumi. L’area meno “virtuosa” sotto questo aspetto è quella statunitense (ogni americano consuma, indirettamente, 2842 metri cubi d’acqua all’anno); alla Cina spetta invece il triste primato delle acque inquinate: 360 miliardi di metri cubi all’anno, il 26% delle acque inquinate in tutto il mondo. Nella decade presa in considerazione per lo studio, l’impronta idrica dell’umanità è stata di 9087 miliardi di metri cubi d’acqua (di cui il 74% di acqua piovana, l’11% di acqua di falda o di superficie e il 15% di acqua inquinata).
I settori più “assetati” sono, invece, i seguenti: la produzione agricola è responsabile del 92% dei consumi globali. Quella industriale del  4,4% che richiedono più acqua, troviamo i cereali (27%) seguiti dalla carne (22%) e dai latticini  (7%), dalle diverse abitudini alimentari: negli Stati Uniti, dove il consumo di carne bovina è altissimo l’impronta idrica interna individuale è di 2842 metri cubi annui.

L’acqua “esportata” sul bilancio nazionale

Impronta idrica e acqua virtuale sono termini che si riferiscono non solo all’acqua utilizzata realmente per produrre un bene (materia prima) ma anche a tutti quei processi necessari per rendere quel prodotto disponibile al consumo (reperimento e trasformazione delle materie prima, imballaggio, trasporto). A incidere sui consumi idrici globali sono anche i prodotti non destinati al consumo interno, ma all’esportazione. La maggior parte (76%) dei flussi d’acqua virtuali dissipati durante l’esportazione e l’importazione di merci è collegata alla commercializzazione di prodotti agricoli e derivati (come gli oli vegetali), prodotti industriali e carne bovina. Tra i maggiori esportatori d’acqua virtuale troviamo Stati Uniti, Cina, India, Brasile, Argentina, Canada. Grandi importatori sono invece Stati Uniti, di nuovo, seguiti da Giappone, Germania, Cina, Italia (101 miliardi di metri cubi all’anno), Messico e Francia. L’acqua consumata per merce destinata all’esportazione costituisce, da sola, il 22% dell’impronta idrica totale globale. Ma l’incidenza dell’acqua “esportata” sul bilancio nazionale varia da paese a paese: alcune nazioni europee come Italia, Germania, Olanda e Inghilterra hanno un’impronta idrica esterna che contribuisce per il 60-95% all’impronta globale nazionale. Altri paesi come Chad, Etiopia, India, Niger hanno un’impronta idrica esterna molto bassa, pari al 4% di quella totale. Considerare, dunque, anche i volumi d’acqua coinvolti nell’import-export può  aiutare i singoli paesi a ragionare sugli scambi economici anche in base alle disponibilità  idriche nazionali. Una nazione che abbia abbondanti risorse idriche interne, per esempio,  potrà limitare l’importazione di prodotti che richiedano ingenti quantità d’acqua nei  loro processi produttivi. Conoscere i rapporti di dipendenza idrica con l’estero è inoltre importante per costruire un’autosufficienza alimentare nazionale.

di Elisabetta Intini