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Antonio Cavallaro, dirigere un ufficio stampa

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Ufficio stampa
Quali le competenze per ricoprire il ruolo di ufficio stampa? Ne abbiamo parlato con Antonio Cavallaro di Rubbettino editore

Uno dei ruoli più affascinanti del mondo dell’editoria e della comunicazione moderna è senza dubbio l’ufficio stampa. Per darne una descrizione a grandi linee, si può affermare che l’ufficio stampa coordina tutti i processi legati alla diffusione delle informazioni all’interno e all’esterno dell’azienda e cura la trasmissione delle notizie verso i mass-media al fine di raggiungere un vasto pubblico.

Antonio Cavallaro
Il responsabile ufficio stampa di Rubbettino Antonio Cavallaro

Com’è intuibile, ogni casa editrice dispone, al proprio interno, di un apposito ufficio stampa che si preoccupa di svolgere le mansioni appena descritte. Nel nostro viaggio conoscitivo dentro l’editoria italiana, siamo andati a chiedere ad Antonio Cavallaro (in foto), attualmente ufficio stampa della Rubbettino editore, di illustrarci meglio ruolo, compiti e preparazione culturale che occorrono per ricoprire questo fondamentale segmento di un’azienda editoriale.

L’ufficio stampa, ruolo e competenze

Antonio, qual è secondo te la formazione culturale e professionale necessaria per poter svolgere adeguatamente il ruolo di ufficio stampa?

Credo che sia necessario innanzitutto avere delle conoscenze base di newsmaking per capire in che modo un fatto, come la pubblicazione di un libro, possa diventare notizia. I giornalisti, dopo l’avvento di internet, vengono continuamente bombardati di informazioni e il processo di selezione diventa sempre più difficile così come i tempi di confezionamento della notizia sempre più corti. Se l’ufficio stampa riesce già da subito a costruire la notizia intorno alla pubblicazione di un libro andando ad evidenziare quelli che sono i valori che quella pubblicazione si porta dietro, allora le chances di trovare spazio sui media diventano più alte. Per quanto riguarda l’aspetto culturale credo che serva una buona cultura di base se si lavora in una casa editrice generalista mentre ovviamente serve una cultura settoriale se si lavora in una casa editrice specializzata. La comunicazione verso l’esterno, tuttavia, deve sempre evitare il tecnicismo e l’eccessiva specializzazione.

Rubbettino si occupa prevalentemente di saggistica. Storia, economia e politica in particolare. Dal punto di vista della comunicazione, come cerchi di studiare al meglio il messaggio da veicolare agli organi d’informazione siano essi giornali cartacei o testate on-line?

Dipende. In alcuni casi cerco di individuare quali elementi contenuti nel libro abbiano un richiamo diretto all’attualità. In altri è la pubblicazione stessa del libro la notizia (come nel caso di un inedito di un grande studioso, per esempio).

Data la connotazione editoriale di Rubbettino e quindi, in un certo senso, da una posizione privilegiata per osservarne gli sviluppi, come vedi la situazione della cultura italiana sotto il profilo della produzione saggistica?

La produzione saggistica in Italia vive un momento molto particolare. Da un lato, il nostro tempo libero si va via via assottigliando e viene a essere conteso da un numero sempre maggiore di pretendenti (dal cinema, ai giornali, a internet, alla musica, al teatro, lo sport ecc.), dall’altro la velocità che caratterizza l’attuale mondo dell’informazione e della comunicazione ci ha disabituati alle risposte lente e meditate. Grazie ai media elettronici siamo abituati ad avere risposte in tempi sempre più brevi. Di tutto ciò non può non risentire il mondo dell’editoria che, non a caso, propone sempre più spesso volumi di piccolissimo formato.

Ricordo alla fiera del libro di Francoforte di qualche anno fa un importante editore universitario internazionale che proponeva dei libretti su temi fondamentali: God, Mind, Soul ecc. Basta d’altronde fare un giro in libreria per capire come siamo oramai nella fase della “bignamizzazione” della cultura. Ad aggravare la situazione ci si è messa pure l’Università con i nuovi corsi brevi che impediscono ai docenti di dar da leggere, come accadeva una volta, interi saggi anche corposi sui temi del corso. Ed ecco il fiorire dei reading nati dalla collazione di pagine prese qua e là (nella stragrande maggioranza dei casi fotocopiati senza pagare i relativi diritti) o dispense, sunti ecc. Penso che di questo passo non avremo più saggi fondamentali come Verità e metodo di Gadamer o Storia e critica dell’opinione pubblica di Habermas perché non ci saranno più lettori di questo genere di libri (attenzione: i classici, come quelli citati, continueranno a essere stampati ma non saranno scritti più nuovi libri di quel tenore) e di conseguenza non si avrà più mercato, editori e gente disposta a scriverli. Detto questo mi si consenta di fare un’ultima annotazione sul mercato editoriale attuale che è sostanzialmente un mercato di novità. Ciò comporta che siano premiati unicamente i libri ad alta rotazione a scapito di quelli con una rotazione più lenta (come sono appunto i saggi).