Home C'era una volta Buddy Anderson, il grande trombettista che diventò un pianista

Buddy Anderson, il grande trombettista che diventò un pianista

SHARE
Bernard “Step Buddy” Anderson at the Suckiel's 1986

Il 14 ottobre 1919 nasce a Oklahoma City, nell’omonimo stato nordamericano il jazzista Buddy Anderson, all’anagrafe Bernard Hartwell Anderson. Fin dalla più tenera età coltiva una passione incontenibile per la tromba, strumento al quale dedica la maggior parte del suo tempo.

Il sogno dell’infanzia

Suona nei gruppi scolastici della sua città e, dopo vari corsi di perfezionamento, inizia a vagabondare nelle orchestre di Kansas City e New Orleans. In breve tempo la sua popolarità si diffonde nell’ambiente jazzistico e nel 1940 Jay McShann lo inserisce nell’organico del suo gruppo. Buddy resta con McShann fino al 1944 quando entra nell’orchestra di Benny Carter. Alla metà degli anni Quaranta, il trombettista sembra aver realizzato il sogno della sua infanzia. Collabora con alcuni tra i grandi jazzisti di quel periodo, come Roy Eldridge e Billy Eckstine, e viene considerato “più di una promessa” dalle riviste specializzate. Sull’ala dell’entusiasmo continua a studiare, a esercitarsi, nel tentativo di superare gli inevitabili limiti dovuti all’inesperienza. Insomma, la sua sembra una favola a lieto fine, ma il destino è in agguato. Un giorno, mentre sta soffiando nel suo strumento, sente una terribile fitta alla cassa toracica. Il dolore non è localizzato, ma è talmente intenso da fargli mancare il fiato. Nei giorni successivi arriva anche la febbre.

Mai più strumenti a fiato

Ricoverato in ospedale scopre di aver contratto una grave malattia alle vie respiratorie. Più tardi si scoprirà che è tubercolosi. Il responso dei medici non lascia speranze: guarirà ma non potrà più suonare strumenti a fiato. La sua carriera di trombettista è finita. Per lui è un momento terribile, ma i suoi amici jazzisti non l’abbandonano. Gli stanno vicini, lo aiutano a ritrovare fiducia in se stesso e, più per consolarlo che per reale convinzione, lo incoraggiano a passare a un altro strumento non a fiato. Buddy che, nonostante le apparenze, ha un carattere fortissimo li prende sul serio. Mentre è ancora in convalescenza inizia a esercitarsi al pianoforte, uno strumento che non gli è del tutto sconosciuto e sul quale ha preso confidenza con la musica negli anni dell’infanzia. Contro ogni ragionevole previsione, la determinazione e la voglia di tornare sulle scene faranno il miracolo. Buddy Anderson vivrà una seconda stagione di popolarità come pianista jazz, pur senza raggiungere mai il livello qualitativo toccato in precedenza come trombettista. Muore a Kansas City il 10 maggio 1997,

 

Previous articleGli U2 cambiano i suoni
Next articleCole Porter, un grande compositore
Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".