Home C'era una volta Carla Bley, la determinazione di un donna in jazz

Carla Bley, la determinazione di un donna in jazz

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L’11 maggio 1938 nasce a Oakland Carla Bley, uno dei grandi talenti musicali femminili del Novecento. Il suo nome alla nascita è quello di Carla Borg. È suo padre, organista e maestro del coro in una chiesa di Oakland, che la spinge prestissimo a cantare e a imparare il pianoforte.

L’incontro con Paul

Finite le scuole dell’obbligo l’adolescente Carla lascia la famiglia e, dopo aver raggranellato i soldi necessari suonando nei locali e arrangiando brani per un cantante folk californiano, se ne va a New York, dove trova lavoro come venditrice di sigarette in un jazz club. Qui conosce Paul Bley, che s’innamora di lei, la sposa nel 1957 e le regala il nome con il quale diventerà famosa. Dopo un breve periodo in cui suona nella zona di Los Angele, torna a New York. Nel 1959 inizia a scrivere brani per suo marito Paul Bley, Jimmy Giuffré, George Russel e Art Farmer ma sembra che per lei la musica non possa ancora essere una scelta professionale. La svolta arriva nel 1964 quando entra a far parte del gruppo del batterista Charles Moffett e partecipa anche alla Jazz Composer’s Guild promossa dal trombettista Bill Dixon, un esperimento d’avanguardia ribattezzato.

I primi successi la spingono a continuare su quella strada e mettono in crisi il suo matrimonio. Carla lascia Paul Bley e comincia a lavorare a nuovi e più autonomi progetti.

La scelta di volare da sola

Insieme al suo nuovo compagno, il trombettista austriaco Michael Mantler, fonda la Jazz Composer’s Orchestra Association, una sorta di unione autogestita di musicisti. Sempre nel 1964 fonda una propria casa discografica, la JCOA e nel 1965 forma i Jazz Realities, un quintetto di cui, oltre a Mantler, fa parte anche Steve Lacy. Nello stesso periodo suona anche con musicisti europei, tra cui il sassofonista 11. I tempi difficili sono ormai alle spalle. Più nessuno mette in discussione il suo talento. Gli anni seguenti saranno costellati da composizioni e collaborazioni con un numero impressionante di artisti dei generi più svariati, dalla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden alla clavicembalista Antoinette Vischer, a John Cage, al sassofonista Gary Windo. Il suo stile pianistico, affascinante e unico, è stato per qualche tempo, forse un po’ ingiustamente definito da una parte della critica come «una sorta di fusione tra gli stili dell’ex marito Paul e di Cecil Taylor», mentre il suo canto attinge ai colori della popular music e delle cantautrici americane degli anni Settanta. Nelle composizioni e negli arrangiamenti invece i suoi riferimenti appaiono più colti, da Kurt Weill a Gil Evans con qualche lezione solistica ispirata a Duke Ellington.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".