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Crisi ecologica e cultura postmoderna

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La fuga della natura dal paesaggio, la rottura degli equilibri ecologici, le spaccature del tessuto sociale sono alcuni dei sintomi della crisi ambientale. Questo scenario caratteristico del mondo contemporaneo coincide con una cornice culturale che può essere anche definita “postmoderna”. In effetti c’è, per molti versi, una connessione tra la crisi ecologica e la sensibilità postmoderna.

Progresso non è sinonimo di sviluppo

Si tratta di due fenomeni distinti: l’uno, il postmoderno, è una temperie critico-culturale, l’altro, la crisi ecologica, è un complesso di condizioni insieme storiche, biologiche e sociali. Ciò che li accomuna profondamente è il fatto che a essi si accompagna un’idea della storia e della società e una percezione del nostro rapporto con il mondo che ci circonda in netto contrasto con quelle della tradizione occidentale. Come vedremo, domina in entrambi la convinzione che una legittimità oggettiva degli ordini gerarchici (sociali come ecologici) non sia più difendibile. Questo significa che se da un lato il postmoderno cerca di smascherare quei costrutti sociali e linguistici che giustificano rapporti di potere e ideologie verticalistiche, dall’altro la crisi ecologica denuncia, con l’evidenza del malessere del pianeta, come il dominio dell’umanità sulla natura poggi, in realtà, su premesse mal formulate…. Progresso e sviluppo non sono affatto sinonimi. Da questa svista concettuale sorge, infatti, una lunga serie di contraddizioni. La prima e più importante è la contraddizione tra questo sistema di “crescita” e di “sviluppo” e la sopravvivenza stessa della natura. È una contraddizione che fa vacillare alle fondamenta un discorso economico costruito sulla virtuale inesauribilità delle risorse naturali.

Ambiente, un’etica circolare

Inoltre, con la crisi petrolifera dell’inizio degli anni 70, le politiche di boicottaggio e gli embarghi, l’opinione pubblica non può più ignorare i conflitti politici e umani legati all’accaparramento di queste risorse. A ciò si unisce la consapevolezza che l’idea di un progresso fondato sull’indiscutibile centralità dell’umano non è più proponibile. Ciò innanzitutto perché si insiste finalmente sull’inaccettabilità di un universo morale “specistico” (ossia, costruito unicamente in funzione della specie umana), e di un sistema economico in cui l’oppressione degli animali non umani è funzionale alla produzione di enormi profitti. E poi, perché questo primato dell’umano sottintende un neanche tanto malcelato primato della cultura occidentale sulle altre culture, con tutto quel che comporta sul piano delle discriminazioni razziali, sessuali e sociali. Mettere in dubbio questi risvolti del progresso significa quindi osservarne le implicazioni sul piano della società: e questo punto si fa particolarmente sensibile, dal momento che si comincia a ravvisare negli squilibri sociali, all’interno di una stessa società come nei rapporti tra paesi ricchi e paesi poveri, il terreno di cultura perfetto per le politiche di sfruttamento dell’ambiente. In generale, tuttavia, il progresso che si discute è quello propugnato dalla scienza moderna. Cominciano a farsi evidenti, infatti, le incongruenze di un atteggiamento epistemologico che, nel tentativo di servire l’uomo per “aggiogare” la natura, ha prodotto strumenti e metodi di ricerca che danneggiano equilibri ecologici e forme di vita, umane e non umane. Ci si chiede di quale progresso possa essere portatrice una scienza indifferente alle sofferenze degli animali, alla bellezza della natura, alla perdita della biodiversità; o alla distruzione, con un semplice gesto, di migliaia di vite, del loro ambiente e del benessere delle generazioni successive. Ci si chiede come possa davvero “progredire” una scienza moralmente indifferente agli effetti delle proprie scoperte…. A essere richiesto è ora, quindi, un uso non più meramente strumentale, ma etico della razionalità scientifica e tecnologica. E soprattutto, una valutazione etica delle conseguenze sul piano ecologico, umano e sociale dell’abuso della ragione strumentale… Questa etica, ambientale o ecologica, rappresenta il tentativo di infrangere il mito della “priorità ontologica” dell’umano. Contro i verticalismi normativi del modello patriarcale, l’etica dell’ambiente è allora per definizione un’etica circolare: un’etica materna e della cura che, ridistribuendo gli attributi di valore, riporta l’umano nel mondo, inteso in tutta l’ampiezza delle sue relazioni, naturali, politiche, sociali. Tematizzare l’esistenza di una crisi ecologica è già di per sé indice di un mutamento culturale, che investe atteggiamenti, aspettative, forme di resistenza attiva e rivendicazioni di nuovi valori legati alla qualità della vita.

La strategia di sopravvivenza

È evidente che alla crisi ecologica si accompagni una cultura, ossia una “strategia di sopravvivenza” tipicamente postmoderna. Questa cultura sostituisce all’entusiasmo per la scienza e per la crescita economica, caratteristico del periodo postbellico di scarsità, una domanda di maggiore democratizzazione, che dia finalmente peso a considerazioni di ordine umano, estetico, ecologico, educativo… la “modernità” in relazione alla quale il postmoderno più esplicitamente si definisce è quella che si esprime nel trionfo del modello di sviluppo e di crescita economica portato dalla rivoluzione industriale. È per il fatto che tale modello si radica storicamente in un complesso ideologico e politico formatosi in quei secoli, che il postmoderno si misura con l’eredità moderna, nel suo senso più ampio. È tuttavia corretto affermare che, sul piano socioculturale, il postmoderno critichi più direttamente il processo di modernizzazione legato all’industrialismo, e che, nel farlo, proponga una strada differente rispetto allo standardizzarsi esasperato dei processi produttivi e all’entusiasmo per una crescita e uno sviluppo ottenuti a spese dell’umanità e della natura. Si perviene, cioè, alla consapevolezza che dietro tale modello sociale vi sono strutture coercitive e repressive, ed emerge l’esigenza di una cultura che esprima un ideale di emancipazione tanto dalle schiavitù materiali, quanto da quelle ideologiche, di qualunque genere (religioso, politico ecc.) esse siano…. La conclusione è che questa modernizzazione ha progressivamente allontanato l’uomo da se stesso: la società industriale, tripudio della ragione strumentale, si esprime infatti in forme di lavoro e processi produttivi alienanti e spersonalizzanti, accompagnati dal dissolversi del tessuto sociale e dei valori di solidarietà. In tale scenario anche le devastazioni dell’ambiente (un ambiente che è anzitutto una risorsa) sono la logica conseguenza di una visione dualistica e piramidale del rapporto tra umanità e natura. In realtà e più in generale, quello che si sgretola, nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, sono le basi ideologiche della modernità: la fiducia nelle forme politiche tradizionali, a cominciare dallo stato nazionale, gli ideali sociali cosmopolitici, le grandi religioni. Insieme a queste, entrano in crisi anche i capisaldi etici e metafisici che avevano segnato la moderna visione del mondo…

Riportare il rapporto umanità-natura al di fuori della sua strutturazione abituale

Il postmoderno ci suggerisce anzi che spesso non c’è uno sguardo neutrale sulla “realtà” (e che spesso non c’è una “realtà” fuori dalle virgolette), ma che questa “realtà” può essere la somma delle sue immagini sociali. Il naturalismo della “realtà oggettiva” è dunque una fallacia conoscitiva: la nostra conoscenza è, infatti, mediata anzitutto da costrutti linguistici, frutto a loro volta di precise convenzioni e condotte socialmente determinate. In tutto ciò, la sensibilità postmoderna funge proprio da “distruttrice di miti”, e i primi miti su cui si accanisce sono quelli consegnati al linguaggio… Questa volontà di declinare al plurale grandi idee moderne come “realtà”, “cultura”, “storia”, “verità”, e di non parlare più astrattamente di “umanità” ma di “esseri umani”, mette in luce l’aspetto propositivo del postmoderno, e la natura fruttuosa di una crisi che rappresenta lo smascheramento delle strutture del potere consolidato in nome di una visione essenzialmente più democratica e partecipativa, quindi più “auto-correttiva”, della società. Ciò significa adottare la prospettiva pragmatica e costruttiva di chi sa che lo stato è anche un insieme di comunità, che l’azione politica può essere una forma di condivisione, che la storia è un compito dell’individuo e non una forma di escatologia sociale… A realizzare questo ideale partecipativo non sono però chiamati solo gli individui singoli, ma anche le diverse culture, tra cui si cerca di stabilire non più una successione preordinata ma una complementarietà… Questo fa sì che la cultura postmoderna possa presentarsi come connotata da un principio d’inclusione, di apertura, di differenza… Questo, anche per quanto riguarda l’etica e la cultura ambientale, significa riportare il rapporto umanità-natura al di fuori della sua strutturazione abituale…

tratto da: Ecologia letteraria Una strategia di sopravvivenza di Serenella Iovino prefazione: Cheryll Glotfelty, collaborazione: Scott Slovic