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“Doppio gioco”, un thriller in Alto Adige

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Lo scrittore milanese Pietro Brambati, autore di "Doppio gioco" (Leone editore)

Tra le pagine più dolorose e sofferte della storia del nostro Paese, c’è senza alcuna ombra di dubbio la vicenda del terrorismo Sud Tirolese che insanguinò l’Alto Adige nel corso degli anni ’60 e ’70. Sebbene siano passati alcuni decenni e un paio di generazioni da quelle luttuose circostanze, vale la pena ricordare cos’è avvenuto tra le strade e i ponti della provincia di Bolzano. E lo scrittore milanese Pietro Brambati ha riportato a galla l’atmosfera di quegli anni in Alto Adige nel suo ultimo libro Doppio gioco (Leone editore, 2016).

Pietro Brambati e il suo Doppio gioco

Pietro, benvenuto sulle pagine elettroniche di Daily Green. Volevo entrare subito nel vivo di  Doppio gioco. Com’è venuta l’idea di scrivere un thriller ambientato in Alto Adige/Sud Tirolo?

L’idea di scrivere una storia ambientata in Alto Adige durante gli anni del terrorismo altoatesino mi ronzava in testa da molto tempo. Essendo di madre trentina e avendo di conseguenza frequentato da sempre quella regione, ebbi spesse volte modo di constatare personalmente l’atmosfera ostile che vi regnava nei confronti degli italiani.

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“Doppio gioco” esposto alla Libreria Mondadori Crema

Per chi negli anni sessanta si recava in vacanza nel Sud Tirolo, l’ostilità non era immediatamente percepibile; tuttavia poteva succedere, ed è successo, che  tagliassero le gomme alle auto parcheggiate con targa italiana o che, entrando in un negozio o in un bar, ti si rivolgessero parlando in tedesco, fingendo di non capire quello che dicevi pur conoscendo benissimo l’italiano. Quello che ho cercato di fare in Doppio gioco è stato ricreare l’atmosfera di quegli anni, per fortuna ormai lontani e per lo più dimenticati, benché in alcuni strati della popolazione alberghi ancora il desiderio irredentista di un Sud Tirolo libero e austriaco.

Solo in una terra di confine possono mischiarsi storie, personaggi ed eventi così differenti tra loro. Ad esempio, Alfred Gruber è un fervente irredentista sudtirolese ma “adotta” Bruno Daprà da bambino pur essendo un madrelingua italiano. Nel costruire i protagonisti di Doppio gioco hai attinto a situazioni reali?

I personaggi del libro sono per lo più inventati. Naturalmente per rappresentare alcuni di loro mi sono avvalso di soggetti realmente esistiti. Alfred Gruber, per esempio, era un vecchio nostalgico e innocuo irredentista che davvero si recava, alla veneranda età di ottantacinque anni, a pescare le trote nel torrente con una canna da pesca che lui stesso aveva ricavato da lunghi rami di salice. Non pescava mai niente, o quasi, ma per lui era un modo per tenersi in forma e sentirsi vivo. Rudolf Messer possedeva davvero una segheria, beveva un po’ troppo, non si chiamava Rudolf Messer e non era un irredentista Sud Tirolese, ma un simpatico personaggio di etnia italiana che offriva da bere a tutti gli amici che incontrava al bar. Tutti gli altri personaggi, la guida alpina Bruno Daprà, il giornalista Roberto Draghi, il colonnello Blasi, naturalmente Tania, la moglie di Bruno e Adele, la moglie di Rudolf Messer, sono più o meno reali, salvo le loro storie personali che, per dare corpo al racconto, ho dovuto per forza inventare o mescolare.

I fatti narrati in Doppio gioco prendono spunto da dolorose vicende del passato che hanno attraversato la storia del nostro Paese. Strategia della tensione, terrorismo neofascista e sudtirolese e servizi segreti deviati. Sembra d’intuire che, nelle pagine di Doppio gioco, tu abbia anche voluto un po’ ricostruire quegli anni.

Nel 1969 il terrorismo altoatesino, grazie agli accordi tra il governo austriaco e quello italiano che aveva concesso un’enorme autonomia alla regione, e gli atti terroristici messi in atto dal BAS (Movimento per la liberazione del Sud Tirolo), anche se non completamente, stavano  lentamente diminuendo. Nel frattempo iniziavano in Italia gli attentati terroristici di matrice (così allora vennero classificati) neofascista, avviando quella che in seguito venne definita ”strategia della tensione”, all’interno della quale si ipotizzava che, a tirare le fila di questi terroristi neofascisti, fosse una parte di quei servizi segreti così detti “deviati” di estrema destra, i quali si prefiggevano la destabilizzazione della nazione al fine di imporre un nuovo sistema politico.

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La targa vinta da Pietro Brambati al Premio Letterario “Firenze Capitale d’Europa 2015”

In questo contesto ho immaginato che due terroristi neofascisti, in fuga dopo aver effettuato un attentato, appoggiati e manovrati dai servizi segreti “deviati”, venissero aiutati, in accordo con il BAS, a passare il confine austriaco e sfuggire così alla giustizia italiana. In fondo, come dico nel libro, tra l’estrema destra italiana e il movimento pangermanista Sud Tirolese, si può dire che esistesse una specie di affinità elettiva.

Anche in Doppio gioco c’è però un protagonista “nascosto”: l’amore, ben impersonato da Tania, la moglie di Bruno Daprà. Al fondo, è il sentimento che trionfa se prestiamo attenzione alle ultime pagine del libro.

In ogni romanzo mirato, a interessare e a intrattenere il lettore ci deve sempre essere una componente d’amore. Così è nei libri più famosi: dall’Odissea di Omero a Madame Bovary di  Flaubert fino ad Addio alle armi di Hemingway, tanto per citarne alcuni. I sentimenti sono un contorno indispensabile per rendere stimolante una storia. In altre parole un romanzo, salvo rare eccezioni, non può fare a meno dei sentimenti.

Dopo Doppio gioco, hai già dei nuovi progetti editoriali in costruzione?

Negli ultimi quattro anni ho pubblicato con Leone editore tre romanzi: Storia di Aronne, la favola di un cigno reale che vuole conoscere il mondo; Sfida mortale, un thriller ambientato in Sardegna e appunto Doppio gioco. Ne ho da poco iniziato un altro, un giallo che parte dagli omicidi di alcuni uomini politici ma per ora non posso svelare di più perché è in lavorazione.