Home C'era una volta L’auto di Bonnie & Clyde

L’auto di Bonnie & Clyde

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Il 2 aprile 1932 Edsel Ford, presidente del gruppo Ford, presenta ufficialmente la Ford V8 Roadster. L’auto è destinata a entrare nell’immaginario di generazioni di cinefili come la vettura di Clyde Barrow e Bonnie Parker, più conosciuti con il nome di Bonnie & Clyde, la coppia di amanti specializzati nelle rapine a mano armata immortalata alla fine degli anni Sessanta dal film “Gangster Story” di Arthur Penn, con Warren Beatty e Faye Runaway nella parte dei due protagonisti.

Un motore duttile

Pochi sanno che la sua realizzazione ha rischiato di essere messe in forse dalla grande crisi dei primi anni Trenta e che solo la cocciutaggine del vecchio Henry Ford ha evitato che entrasse nel lungo elenco delle vetture progettate e mai realizzate. Fin dall’inizio da quando l’aveva visto disegnato sui fogli di progetto, il vecchio Henry Ford era stato catturato dall’idea che un motore con 8 cilindri a V spingesse una delle auto di sua produzione. Quello che sollecitava la sua fantasia non era tanto la potenza sprigionata, quanto la duttilità che un motore simile sembrava promettere. Per questa ragione dopo il successo della Model T, con ben quindici milioni d’esemplari venduti, e della Model A che aveva toccato la cifra di cinque milioni di vetture prodotte e commercializzate, in casa Ford si fa sempre più urgente la necessità di trovare un modello che sostituisca la Model A. Senza tanto dare nell’occhio riprende quota l’idea fissa del vecchio Henry di produrre un’automobile con il motore a 8 cilindri. I progettisti incaricati in gran segreto di lavorare su questa ipotesi si trovano a poter lavorare con molta libertà. I problemi più impegnativi da superare arrivano dai pistoni e dalle necessità di garantire un raffreddamento adeguato al calore sviluppato. Uno dopo l’altro i problemi vengono superati alla fine viene presa la decisione definitiva di mettere in produzione la Ford V8. Durante l’inverno del 1930-1931 vengono realizzati in gran segreto una ventina di modelli sperimentali con quella motorizzazione. L’intenzione è di sceglierne almeno un paio da destinare alla produzione in catena, ma le nubi della crisi economica con una caduta drastica dei consumi suggeriscono di soprassedere per un po’ al progetto.

Figlia della fretta

Senza troppa convinzione si sospende temporaneamente il programma della V8 e si lavora all’aggiornamento della consolidata e robusta Model A che nel 1931 evolve nella Model AB dotata di un motore a quattro4 cilindri. I risultati di vendita non sono eclatanti, anche se consentono alla Ford di non cessare la produzione. Proprio ragionando su questi fatti e spinta dall’insistenza di Henry Ford la casa automobilistica decide quindi di tornare per la seconda sul progetto della V8. Questa volta i progettisti non si fanno cogliere impreparati. Nei due anni trascorsi dal primo studio hanno verificato pregi e difetti di tutti i motori V8 presenti sul mercato statunitense. L’obiettivo che è stato loro dato è semplice: in linea con l’impostazione Ford occorre produrre un auto con il motore V8 a un prezzo che sia il più basso mai visto finora per vetture di quel segmento. Fin dall’inizio si accorgono che non è semplice conciliare la complessità di un simile propulsore con le esigenze tipiche di una automobile destinata a essere prodotta in grande serie. Alla fine ce la fanno e nel 1932 la vettura è pronta per il mercato. Figlia della fretta ha però una serie di difetti e molti componenti meccanici devono essere modificati già nel corso dei primi mesi di vendita. I difetti principali sono nel telaio, che così com’è non regge le sollecitazioni del potente propulsore, e nell’impianto frenante che appare inadeguato a contrastare la forza sviluppata dal motore. L’innesto del motore V8 su una struttura derivata dalla produzione Ford tradizionale rischia di essere un boomerang. Per questa ragione nel 1933 la Ford V8 viene interamente ridisegnata sia nella carrozzeria sia nel telaio. È il successo. Il motore a otto cilindri a V progettato in quegli anni continuerà a vivere anche quando i modelli su cui è stato montato per la prima volta saranno ormai ospitati dai musei.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".