Home C'era una volta Mia Martini, sola come una gatta

Mia Martini, sola come una gatta

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Il 12 maggio 1995 muore nella sua casa di Cardano al Campo, in provincia di Varese, sola come una gatta Mimì, Domenica, Berté, in arte Mia Martini. In quella notte di maggio il suo cuore stanco si ferma prima ancora di compiere cinquant’anni. È passato tanto tempo, ma anno dopo anno si susseguono le commemorazioni, i ricordi e le retrospettive non sempre rispettose della donna, tormentata e contraddittoria quanto e più del personaggio. La sua stessa morte è descritta come l’epilogo di un giallo da quattro soldi, con un infarto provocato da un’overdose di cocaina o di qualche altro pasticcio chimico così comune nell’ambiente dello spettacolo così facile da raffigurare come decadente . Pazienza se la magistratura non ha mai considerato seria questa ipotesi, se Mimì stava male da tempo, se l’ultima tournée era stata costellata da ricoveri in ospedale per lo stress causato dalla prospettiva di un’operazione chirurgica problematica, se proprio le sue condizioni fisiche e psichiche richiedevano l’assunzione massiccia di sedativi e anticoagulanti. Tutto ciò non alimenta miti, non fa vendere e, dunque, non interessa.

Vittima di pregiudizi

Per alcuni anni, tanti, forse troppi era stata praticamente condannata al silenzio perché considerata una “menagramo” come una gatta nera. Lei all’epoca della grande emarginazione non aveva fatto poi tante storie. «E ora dico sul serio, non vorrei cantare più…», il verso che concludeva l’ultimo brano dell’album live I miei compagni di viaggio pubblicato nel 1983 era una sorta di dichiarazione di estraneità nei confronti di un mondo, quello della musica leggera italiana, prigioniero di pregiudizi e odi che le avevano reso la vita difficile. Sembrava il triste e dignitoso finale di una carriera iniziata prestissimo. A soli quindici anni, infatti, la ragazza pubblica con il nome di Mimì Berté il singolo I miei baci non puoi scordare, seguito, nel 1963 da Insieme (televisione con mamma e papà) e, nel 1964, dal successo de Il magone e del divertente surf E adesso che abbiamo litigato. Le cantanti adolescenti, però, hanno un difetto: non possono invecchiare. Per questo il personaggio Mimì Bertè finisce lì, almeno per i discografici, perché lei non è il tipo da farsi schiacciare dal sistema. Sette anni dopo, infatti, nel 1971, con il nome di Mia Martini, sbanca il Festival d’Avanguardia e Nuove Tendenze di Viareggio con la dissacratoria Padre davvero, accompagnata da La Macchina, una band di cui fa parte anche l’inglese Gordon Faggetter.

Un’interprete che ipnotizza il pubblico

L’immagine della ragazzina yè yè destinata al mercato degli adolescenti viene sostituita dalla grintosa presenza scenica di un’interprete in grado di ipnotizzare il pubblico lì convenuto per ascoltare i migliori gruppi rock del periodo. Da quel momento il suo cammino sembra inarrestabile. Il grande successo arriva l’anno dopo con “Piccolo uomo”, un singolo che domina la classifica dei dischi più venduti e con “Nel mondo una cosa”, premiato dalla critica come miglior album del 1972. Tentata sempre da nuove esperienze collabora con musicisti come Charles Aznavour, Luis Enriquez, Tullio De Piscopo, Ivano Fossati e altri. Poi negli anni Ottanta arriva il nuovo, odioso, stop. Altri sette anni di silenzio devono passare prima del ritorno al Festival di Sanremo del 1989 con Almeno tu nell’universo, un brano scritto per lei dodici anni prima da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio che segna l’inizio della terza fase della storia destinata a concludersi nel maggio del 1995. Gli amici la piangono, gli ipocriti la commemorano e il music business ci guadagna. Quello stesso sistema che l’ha usata, gettata via e poi ripresa più volte da quel momento torna a funzionare a pieno regime per sfruttarne il ricordo sull’onda dell’emozione e della nostalgia.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".