Home C'era una volta Tony Dallara, il caposcuola degli urlatori

Tony Dallara, il caposcuola degli urlatori

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Il 30 giugno 1936 nasce a Campobasso Antonio Lardera, destinato a diventare famoso con il nome di Tony Dallara. Figlio di Battista Lardera, un ex corista della Scala poco dopo la nascita si trasferisce a Milano, città nella quale cresce e dove si affermerà come cantante.

Come prima

Tony Dallara inizia a cantare nel 1954 con il nome d’arte di Tony Ellis nelle balere dell’hinterland del capoluogo lombardo dove viene notato dal discografico Walter Gurtler, che lo incoraggia a studiare musica e a migliorare il suo stile. Nell’ottobre del 1957 fa il suo debutto su etichetta Music e nel mese di gennaio del 1958 è già popolarissimo per una canzone destinata a restare nella storia della musica leggera italiana. Si intitola Come prima. È stata scritta da Vincenzo Di Paola, Alessandro Taccani e Mario Panzeri e tre anni prima è stata scartata dalla commissione esaminatrice dei brani per il Festival di Sanremo. Dallara l’interpreta nello stile terzinato dei Platters e vende in poche settimane più di 300 mila copie. Nel 1960 vince il Festival di Sanremo cantando, in coppia con Renato Rascel, Romantica un brano dello stesso Rascel. Nella stessa edizione presenta anche Noi, in coppia con Jula De Palma. Torna ancora sul palcoscenico sanremese nel 1961 con Un uomo vivo, in coppia con  Gino Paoli e nel 1964 con Come potrei dimenticarti, insieme a Ben E. King. Dallara è uno dei protagonisti di un radicale cambiamento nella musica leggera italiana. Le sue interpretazioni scardinano l’ordine perfetto della melodia morbida e dei gorgheggi inventando uno stile che poi sarà stato ripreso da Mina e Celentano. Con lui nascono i cosiddetti “urlatori”, cioè quei cantanti che si ribellano alla tradizione e che portano in Italia i nuovi ritmi legati al rock and roll. Personaggio tra i più popolari alla fine degli anni Cinquanta gira vari film musicale e vende milioni di dischi con brani come Ti dirò, Brivido blu, Julia, Ghiaccio bollente e Bambina bambina.

La rivoluzione dell’urlo

«Viva l’urlo, abbasso la melodia!». Negli anni Cinquanta i rotocalchi più diffusi accompagnano l’esplodere di una sorta di scontro generazionale nella musica tra i primi i primi, timidi, imitatori delle tecniche derivate dal rock and roll che impazza oltreoceano e gli esponenti della melodia tradizionale. Gli alfieri del rinnovamento cantano brano in cui la melodia convive con i ritmi terzinati dei Platters. Sono le prime voci maschili e femminili che non si sottomettono ai gorgheggi e alle voci impostate della tradizione e a puristi e conservatori vari appaiono così “maleducate” nel senso di “non educate”, non rispettose cioè delle regole auree della canzone tradizionale italiana. Proprio per contrapporli alla tradizione la stampa comincia a chiamare “urlatori” gli esponenti di questo genere raggruppando interpreti diversi che, a vario titolo, hanno introdotto un’innovazione fondamentale nelle tecniche esecutive tradizionali della canzone italiana: l’urlo. Per la verità non si tratta di un urlo vero e proprio, ma una sorta di gorgheggio a singhiozzo che serve a frammentare la melodia, consentendo di sincopare la canzone con scansioni ritmiche inusuali e fuori dalla tradizione melodica. Il caposcuola degli urlatori è Tony Dallara che canta con il singhiozzo caratteristico di Tony Williams, la voce solista dei Platters sillabando le parole. Anche la sonorità vocale è diversa dal passato. La necessità di sostenere la voce sul ritmo spezzato rende, infatti, del tutto inutile la lezione melodrammatica con i suoi acuti a crescita lineare che consentono di mantenere il timbro pastoso e impostato. Nelle canzoni degli urlatori la voce è costretta a esplodere all’improvviso, senza avvicinamenti progressivi, dando l’impressione che gli “urli” abbiano preso il posto del “bel canto”. È la rivoluzione.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".