Home C'era una volta Waylon Jennings, nato con la camicia

Waylon Jennings, nato con la camicia

SHARE

Il 15 giugno 1937 a Littlefield, nel Texas, nasce il bassista e cantante Waylon Jennings. Protagonista di primo piano dell’affermazione del rock and roll diventa famosissimo per la fortuna che lo assiste quando nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 1959 a Clear Lake, nell’Iowa, per gentilezza, vista la carenza di posti, cede il suo posto sull’aereo noleggiato da Buddy Holly e sopravvive così all’incidente che costa la vita allo stesso Buddy, a Big Bopper e a Ritchie Valens.

Waylon il fortunato

Per questo episodio resterà per sempre “Waylon il fortunato”. Jennings inizia a suonare la chitarra a 8 anni. La sua prima maestra è la madre Lorene Beatrice Shipley, una discendente da tribù Cherokee e Comanche. La donna lo fa esercitare sulla melodia di ‘Thirty pieces of silver’ (Trenta denari d’argento) un canto religioso. È sempre la madre a regalargli la prima chitarra tutta sua, con la quale debutta a soli dodici anni ai microfoni dell’emittente radiofonica KVOW di Littlefield. La sua esibizione ha successo e il proprietario dell’emittente lo scrittura per un programma di trenta minuti a cadenza settimanale. L’esperienza rafforza nel ragazzo la decisione di continuare con la musica e qualche tempo dopo dà vita al suo primo gruppo, The Texas Longhorns. Pian piano la sua popolarità cresce anche grazie alla sua attività come dj in varie emittenti. Nel 1958 Buddy Holly lo contatta. Gli serve un bassista per il suo gruppo e Waylon, a suo parere, è l’elemento più adatto. Jennings non dice subito di si. Ci pensa un po’ e poi accetta. Il suo basso accompagna il successo di Buddy Holly fino alla tragica morte nell’incidente aereo. Dopo essere stato miracolato dalla sorte Waylon Jennings sceglie di continuare come solista, pur non disdegnando di collaborare con altri strumentisti e gruppi.

Il country, un nuovo orizzonte

Negli anni Sessanta quando il rock and roll delle origini entra in crisi sotto i colpi del vento nuovo che arriva dalla Gran Bretagna, lui non si scompone. Si sposta sulla linea più tradizionale del country e si diverte a introdurre qua e là venature di rock sui brani più conosciuti della tradizione. La sua è più o meno la stessa operazione che quasi in contemporanea fa Bob Dylan con il folk. Visto che la formula funziona ci prende gusto. Nel 1965 entra nella classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti con tre brani, Green river, MacArthur Park e Only daddy that’ll walk the line. Nel 1966 anche Hollywood si accorge di lui e lo chiama a interpretare il film “Nashville rebel”. Ormai il country è divenuto il suo territorio preferito, quello in cui cavalca con grande naturalezza e successo, nonostante qualche rimpatriata nostalgica nel rock and roll delle origini come quella negli anni Settanta al fianco dei Crickets, l’ex band di Buddy Holly. Nel 1978 in coppia con Willie Nelson vince il premio della critica per il miglior duo country dell’anno. Pur essendo uno dei simboli tipici di quel country che fatica a evolversi perché diffidente nei confronti delle innovazioni, non verrà mai considerato un reazionario dai nuovi e più incendiari interpreti delle giovani generazioni. Anzi, le sue vicende di vita, il suo passato da rockabilly e la sua disponibilità gli garantiranno un notevole rispetto. Lui, riconoscente e un po’ marpione, presterà volentieri la sua esperienza a tutti quelli che glielo chiederanno da Los Lobos a Emmylou Harris, da Hank Williams a Jessi Colter, a molti altri. Alla fine degli anni Novanta riduce notevolmente la sua attività fino a fermarsi per una grave forma di diabete. Muore a Chandler il 13 febbraio 2002.

Previous articleAl via il Festival Polacco
Next articleYacouba, l’uomo che ha fermato il deserto
Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".