PAGANIN e FIORAVANTI ad Asiago, al Museo “LE CARCERI”
dal 5 luglio 2025 al 22 febbraio 2026. Inaugurazione sabato 5 luglio ore 17,30.
Due scultori Giovanni Paganin (Asiago, 1913 – Milano, 1997) e Ilario Fioravanti (Cesena, 1922 – Savignano sul Rubicone, 2012) due esistenze parallele e uno stile molto diverso, mentre questa esposizione – “Il grido e il canto” – ne rappresenta una sintesi evocativa.
Dopo il Mart di Rovereto la fantastica mostra “Il Grido e il Canto”, il ‘dialogo’ tra due interpreti di una scultura potente ed espressiva, si trasferisce ad Asiago, al museo “Le Carceri”. Tutto è partito da un’idea di Vittorio Sgarbi. Un filone di indagine determinato a valorizzare artisti meno noti al grande pubblico e colpevolmente non ancora valorizzati dal sistema dell’arte, il cui valore è però innegabile e la cui riscoperta è doverosa. Questo significa recuperare il patrimonio artistico ed il messaggio umano che questi due scultori ci hanno lasciato; lontani dalle avanguardie e con caratteri diversi se non opposti, ma entrambi fedeli all’idea che scolpire è dare forma alla spiritualità del corpo. Altresì alla memoria personale che diventa simbolo di un modo di essere al mondo attraverso le esperienze che ci hanno formato, elaborate da quell’essenza simbolica che non è solo reazione o lamento, ma linguaggio.
Il progetto espositivo è stato affidato a Marina Pizziolo e Marisa Zattini, curatrici indipendenti e profonde conoscitrici dell’opera dei due artisti, accompagnato da un catalogo che accoglie, oltre ai saggi delle curatrici, un prezioso contributo dello scrittore Giuseppe Mendicino, che indaga il rapporto di amicizia tra Paganin e Mario Rigoni Stern e la ripubblicazione dell’importante dialogo tra Tonino Guerra e Ilario Fioravanti.
Purtroppo possiamo citare solo qualche brano di questi importanti saggi, uno spiraglio di luce a suscitare il desiderio di conoscere dal vivo le opere di queste importanti personalità che hanno dato un contributo originale alla Storia dell’Arte. Opere così diverse e così profondamente umane nelle quali possiamo ritrovare quello che scrisse un grande drammaturgo e linguista irlandese, frase che la Zattini mette in calce al suo scritto, ricordandoci che noi non vediamo mai il nostro volto, sono gli altri che ci rimandano le loro reazioni ad esso!
E chi meglio di un artista potrà rimandarci le vibrazioni della nostra interiorità più profonda espressa dal nostro corpo nell’atto di entrare in rapporto con gli altri?
– «Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso. Si usano le opere d’arte per guardare la propria anima» – (George B. Shaw)

Marina Pizziolo scrive di Giovanni Paganin: “il grido di un uomo libero”
- -Trovo sia un privilegio tornare a occuparmi di Giovanni Paganin, dopo venticinque anni: tanti ne sono passati dall’antologica che curai al Museo della Permanente, solo a qualche centinaio di metri dalla Fondazione Corrente, sotto lo sguardo stanco, ma indomito, dell’indimenticabile Mario De Micheli. (…) Oggi di nuovo una guerra in Europa, dopo quella che la devastò all’inizio del secolo scorso, ferendola di trincee e riempiendola di scoppi, di nuvole di gas, di corpi da sacrificare: la Prima guerra mondiale, con un numerale subito a distinguerla da quella a venire. Una guerra che aveva bruciato anche l’altopiano di Asiago, dove nel 1913 era nato Giovanni Paganin.(…) E un’altra guerra mondiale, dopo poco più di vent’anni, arriva a strappare Paganin da Milano e da quella sua prima mostra alla Bottega di Corrente nel gennaio del 1941, per gettarlo sul monto Golico, in Albania, da dove tornerà malato e ferito per sempre nell’anima. Considero un privilegio tornare a occuparmi di Paganin, perché è un uomo che ha vissuto l’esperienza artistica come una missione morale, facendone il fulcro di un’indagine appassionata sulle ragioni del vivere. E perché sono convinta che gli artisti, soprattutto quelli che abbiamo avuto la fortuna di conoscere di persona, vadano poi osservati da lontano. (…) Questa mostra presenta poi anche un altro vantaggio, che ne fa un vero e proprio osservatorio privilegiato. Perché il confronto tra Giovanni Paganin e Ilario Fioravanti, artisti lontanissimi, rivela aspetti dei due che sarebbero stati difficili da cogliere nello studio separato delle loro opere. Perché come sempre è dal contrasto, dalla negazione, dalla definizione delle diversità, che scaturisce la rivendicazione dell’identità. (…) .Paganin cerca il confronto con il tempo inteso come squarcio rabbioso dell’esistere. Le sue figure non sono donne-che, non sono tese al compimento di un gesto: ma donne colte nell’essenzialità del vivere, che inevitabilmente ha una connotazione di dramma. Ogni scultura è un vibrante affondo esistenziale” (…) Elio Vittorini, Giovanni Pirelli, Mario De Micheli, Franco Russoli, Salvatore Fiume, Raffaele Carrieri, Vittorio Sereni, Giovanni Testori, Mario Rigoni Stern, solo per citarne alcuni: Paganin ha sempre coltivato relazioni di straordinaria intensità con gli intellettuali del suo tempo, compagni di strada con i quali visse rapporti mai oliati dalla convenienza, ma sempre combattuti sulla barricata della verità. (…) E se una cosa dobbiamo riconoscere a Paganin, è che il suo realismo non è mai stato compiacente, né compiaciuto. Lo sguardo sui suoi nudi non è mai voyeuristico, né celebrativo. Per tutta la vita Giovanni Paganin ha scavato con coraggio dentro di sé per mostrarci senza ritegno le sue ferite e le sue paure, per farci sentire alto il suo grido, che si eleva dal ribollire della carne delle sue sculture. (…)

Marisa Zattini nel suo scritto “Armoniche disarmonie” su Ilario Fioravanti riporta anche alcune frasi significative dell’artista:
- «Creare è un impegno forte, è persino sofferenza, ma è una sofferenza che porta gioia» (…) L’arte è emozione, «non è vedere, fare una cosa com’è, ma il gesto di far vedere; un’operazione più profonda».(…) Nelle profonde diramazioni dell’arte confluiscono infatti inaspettate geografie dove forza e fragilità si intrecciano per differenti percorsi di transitorietà. Perché esistono ragioni totemiche del nostro fare, anche nel “reclusorio” intimo del silenzio. Ogni linguaggio è un tessuto di metafore, come sosteneva Emerson e dunque occorre pensare con i sensi per sentire più forte con la mente. L’arte è molteplice e al contempo complessa, fatta di persistenze reiterate fra memorie del passato, retaggi sperimentali, riemersioni moderniste o passatiste, performance rituali, riflessioni classiciste e interventi lapidari. Le vocazioni sono davvero infinite perché tutto è potentemente presente nelle fluttuazioni del tempo. Così il percorso di alcuni artisti si intreccia e si mescola con quello di altre figure. Talvolta partono uniti per separarsi poi per sempre. Eppure l’aria che respiriamo è la stessa ma le geografie e le storie personali mutano differentemente. Lo confermano le opere di questi due artisti, Giovanni Paganin e Ilario Fioravanti, riunite e presentate congiuntamente, oggi. È così che la compresenza di anime diverse che si incarnano e si raccontano nello stesso secolo sono capaci di suscitare armoniche disarmonie, dall’urlo al canto. (…) Perché la memoria è indubbiamente un luogo psicologico denso di seduzioni. Ilario Fioravanti ci dimostra che anche le cose più banali, sottratte all’evidenza della nostra quotidianità, possono assurgere alla categoria dello straordinario. Ogni paradiso è perduto per sempre se resta latente. Fioravanti si è posto di fronte alle cose della vita con levità ed energia, con spirito libero per affrontare la sua grande ascesa mistica. In ogni sua espressione artistica avvertiamo un processo di dilatazione del fare. – Ogni sua opera riesce a generare in noi una tensione di lettura perché custodisce in sé co-significanze di presente e di passato. Una lezione del passato proiettata dall’artista come freccia al centro dell’avvenire. Sappiamo che la memoria – e non il ricordo – consente degli ancoraggi e delle rivisitazioni formidabili. Orme tracce reliquie impronte e testimonianze fertili: reminiscenze. Saper conservare e trasformare in opere le esperienze vissute e sognate. L’arte è sublimazione, cioè soddisfazione differita. La carne della memoria talvolta sanguina e crea nuove dimensioni, nuove visioni trasversali e multiformi. Non è inganno ma sovrapposizione di emozioni nelle misteriose sedimentazioni del tempo. La memoria contiene qualcosa di sapienziale capace di farci toccare con mano la nostra più intima musicalità interiore.

Ilario Fioravanti – Nasce a Cesena il 25 settembre 1922. Fin da giovanissimo, prima con il disegno, poi attraverso l’incisione e la scultura, si avvicina alle arti figurative. Nel 1949 si laurea in architettura all’Università di Firenze. Negli anni Sessanta ritorna alla scultura realizzando una serie di ritratti e si appassiona all’arte arcaica. La sua prima personale, a Cesena, risale al 1966 ma è grazie allo scrittore Giovanni Testori, suo mentore, che raggiunge una maggiore notorietà, a partire dalla mostra alla Galleria Compagnia del disegno di Milano, nel 1990. In seguito, Vittorio Sgarbi curerà le sue mostre personali a Spoleto e Potenza. Nel 2008, a Palazzo Romagnoli a Cesena, gli viene dedicata la grande mostra Il destino di un “Uomo” nell’Arte, curata da Marisa Zattini e Antonio Paolucci. Muore a Savignano sul Rubicone il 29 gennaio 2012.

Giovanni Paganin – Nasce ad Asiago il 3 giugno 1913 e trascorre l’infanzia nei luoghi che erano stati teatro della Prima guerra mondiale. Nel 1938 si trasferisce a Milano, lo stesso anno in cui nasce la rivista “Corrente”, che avrebbe riunito le forze più vive dell’opposizione culturale al regime fascista. Nel 1941 espone le sue opere alla Bottega di Corrente che, dopo la soppressione della rivista, aveva aperto i suoi battenti in via della Spiga. La mostra si inaugura mentre l’artista è al fronte. Nel dopoguerra, Paganin fa proprie le istanze del realismo, partecipa al fermento civile e culturale che si esprime su pagine di riviste come “Il ‘45”, “Numero” e “Pittura” ed è tra i firmatari del manifesto Oltre Guernica. Nel 1948 è invitato alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma e, in seguito, ad importanti mostre in Germania, in Giappone e negli Stati Uniti. Nel 1964 la Biennale di Venezia gli dedica una personale. Muore a Milano il 29 maggio 1997