Home Punti di vista Mario Cavargna, Pro Natura: «Ecco perché dire no alla Tav»

Mario Cavargna, Pro Natura: «Ecco perché dire no alla Tav»

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Mario Cavargna

L’ultima? E’ stata davvero una settimana di fuoco. In migliaia si sono mobilitati contro l’Alta Velocità. Una settimana che si è chiusa con Turi sul traliccio dal quale è precipitato uno dei rappresentanti del movimento No Tav: Luca Abbà che, ora, fortunatamente, è fuori pericolo. Per la prima volta il Governo da “tecnico” ha assunto sull’Alta Velocità una veste del tutto “politica” nel senso più ampio del termine, scegliendo una linea a dir poco oltranzista sulla Torino-Lione, perché? Ma, soprattutto, perché è così importante dire “No” alla Tav, quando persino Camusso (segretaria Cgil) apre (in modo del tutto inatteso, ndr) all’Alta Velocità? Daily Green ritiene sia indispensabile fornire un’informazione corretta ed obiettiva sulle caratteristiche del progetto della nuova linea e, soprattutto, di far cadere la censura che non consente a tutti di avere opinioni documentate. Per questo ne abbiamo discusso con uno dei massimi esperti in materia, il professor Mario Cavargna, presidente di Pro Natura Piemonte nonché esperto di ingegneria ambientale. La nostra intende essere un’intervista inchiesta sul progetto che ha acceso i riflettori sulla Valsusa.

In migliaia sono in mobilitazione permanente contro l’Alta Velocità, perché secondo lei questa mobilitazione collettiva?
Questa moblitazione non potrebbe esistere se non ci fosse una profonda convinzione. Pochi sanno che in Valsusa la maggior parte delle persone è esperta di trasporti. Questa è una valle di grande transito. Tutti hanno parenti che lavorano o che hanno lavorato in questo settore. Una popolazione informata non può essere ingannata. E’ questo, a mio parere, il principale motivo per cui la Valsusa si è così profondamente ribellata a questo progetto.

Per la prima volta il Governo da “tecnico” è diventato “politico” nel senso pieno del termine, scegliendo una linea che si può definire persino oltranzista sulla Torino-Lione. Perché?
Non si può non sottolineare che l’attuale ministro delle Infrastrutture Passera e il suo vice sono entrambi alti dirigenti della San Paolo, la banca che si è candidata a fare, come dire, da prestatore, da manovratore sulle obbligazioni da immettere nella Tav. Il che, forse, vuol dire poco per i più; ma non per chi si occupa di finanza e di politica. Questo governo non è assolutamente libero nelle sue scelte, è nel suo Dna andare avanti su questa strada.

Lei ha scritto moltissimo sull’Alta Velocità, addirittura elencando in 150 ragioni le motivazioni ‘tecniche’ per dire ‘no alla Tav’. Non le chiedo di elencarle tutte ma la pregherei sinteticamente di far capire le ragioni principali di chi, come lei, esperto della materia, è convinto che questo progetto sia del tutto inutile nonché dannoso…
Innanzitutto partirei con lo sfatare dati che vengono continuamente commentati come veri quando sono del tutto falsi. E mi riferisco a quelli che già circolavano sin dal ’91: per esempio sul fatto che la Torino-Lione si dovesse necessariamente fare perché sarebbe aumentato in modo esponenziale il volume del traffico autostradale. Non è vero: il volume del traffico autostradale dei tir non solo è lo stesso di quello della media degli anni ’90; ma, addirittura, è diminuito. Inoltre sono accadute altre cose fondamentali di cui evidentemente non si parla.

Quali?
A cavallo del 2000 la Svizzera proibiva il passaggio dei mezzi pesanti sul suo territorio. Dal momento che da poco lo ha concesso, i tir hanno ripreso a percorrere un circuito del tutto normale senza pesare con il loro carico sulla valle. In Svizzera le cose funzionano in modo molto diverso che in Italia. Con un referendum si è chiesto alla popolazione cosa ne pensava di riaprire il traffico a questi grossi tir. La popolazione ha risposto con un sì, ma a determinate condizioni. La prima che si utilizzassero delle navette ferroviarie per un traffico che, occorre sottolinearlo, in Svizzea è di transito, non in entrata come accade per il nostro Paese. Insomma le principali ragioni che il Governo adduce per la realizzazione di questo progetto vengono tutte negate dalla realtà.

E quali sono le principali?
La prima. Si continua a parlare della necessità di realizzare questo nuovo tunnel perché si parla di “saturazione” dei valichi a causa del traffico. Prima ragione smentita dai fatti. Come abbiamo già detto il traffico è diminuito.
Seconda ragione: i costi diverrebbero insostenibili se si attuasse il progetto. I tir dovrebbero venir caricati con le rispettive motrici sulla ferrovia e, siccome il costo del passaggio del tir va a peso, immaginiamo di cosa si sta parlando. Solo l’1% della clientela se lo potrebbe permettere.
Terza ragione ma non meno importante, anzi direi fondamentale: l’impresa che si intende realizzare è enorme ed ha un altissimo costo ambientale. Le montagne che si andrebbero a perforare raggiungono i 3.300 metri di quota. Bisognerebbe spostare oltre 17 milioni di metri cubi di terra, 9 milioni di cemento armato, 1 milione di acciaio. Sa questo a cosa equivale?
Per farle un esempio: 1 milione di metro cubo di acciaio equivale ad una delle Torri Gemelle cadute. Senza contare che non si sa neppure dove la roccia spostata andrebbe posizionata. Bastano queste motivazioni per dire no?

di Castalda Musacchio

Se non dovessero bastare di seguito, grazie alla gentile concessione di Mario Cavargna e di Pro Natura Piemonte, riportiamo i 150 motivi tecnici per dire no alla Tav. In elenco troverete i primi 10 punti, per i restanti vi invitiamo a collegarvi al sito http://www.pro-natura.it/torino/index.php?c=tav.

1) Una grande opera o è fortemente utile o è fortemente dannosa, perché richiede investimenti che vengono sottratti ad altri capitoli di spesa e perché ha un forte impatto sul territorio che la ospita. La questione fondamentale del progetto della nuova linea ferroviaria Lione-Torino, che è anche la più costosa opera pubblica mai progettata in Italia, è la sua inutilità, perché le ipotesi di traffico su cui si basa sono state smentite dalla realtà dei fatti, che mostrano una inarrestabile caduta dei movimenti di merci e di passeggeri sulla sua direttrice.
2) Al traforo del Frejus, il traffico merci della ferrovia esistente è sceso nel 2009 a 2,4 milioni di tonnellate (MT). Si tratta di poco più di un decimo del traffico di 20 MT che erano previsti all’orizzonte del 2010, dalla dichiarazione di Modane dei ministri dei trasporti italiano e francese. La diminuzione è stata largamente indipendente dai lavori di ampliamento del tunnel esistente, perché era cominciata due anni prima dei cantieri, aperti nel 2002, ed è proseguita in modo costante.
E’ incredibile che, con dati che si rivelano quasi un decimo di quelli previsti, l’intero arco politico ignori il fatto, non si ponga alcun problema della verifica delle previsioni e continui a premere sull’acceleratore di un progetto che ha perso ogni ragion d’essere.
3) L’insieme del traffico merci dei due tunnel autostradali del Frejus e del Monte Bianco è sceso nel 2009 a 18 MT, come nel 1988, cioè 22 anni fa. Il traffico merci del Frejus, nel 2009, è stato di 10 MT, come nel 1993; quello del Monte Bianco si attesta addirittura ai livelli degli anni ’70. La punta massima si è avuta tra il 1994 ed il 1998: da allora i due tunnel hanno perso un terzo del traffico. Questo dimostra che non c’è ragione di costruire delle nuove infrastrutture.
L’insostenibilità dei costi
4) A fronte della inconsistenza delle motivazioni, vi è l’insostenibilità del costo: per la parte comune italo-francese, che comprende il tunnel di base, il dossier presentato alla Unione Europea nel 2007, che rappresenta ancora il documento più attendibile essendo stato firmato dai due ministri competenti, preventiva, al gennaio 2006, il costo di 13,950 miliardi di euro correnti, comprensivi cioè degli oneri finanziari che si formano durante l’arco dei lavori, considerando che prima che l’opera sia finita decorrono gli interessi sulle parti già costruite. L’aumento derivante è calcolato intorno al 33% della cifra totale: il 63%, di questa cifra, che è a carico dell’Italia, corrisponde a 8,8 miliardi che, sommati ai 2 miliardi di euro di opere tecnologiche, fa un totale di 10,8 miliardi di euro.
5) Per la tratta italiana sino al raccordo con Torino, per cui non esiste il confronto con dati ufficiali più recenti, il costo in euro correnti ricavabile dal dossier presentato alla Unione Europea è di 5 miliardi, in valuta del gennaio 2006. A questi vanno sommati gli 0,8 miliardi di euro di opere tecnologiche.
Il totale dei costi a carico dell’Italia per la Torino-Lione sarebbe di almeno 17 miliardi di euro. In più ci sarebbero l’adeguamento dei prezzi, le modifiche di tracciato che hanno comportato oneri aggiuntivi, le eventuali mitigazioni e l’allungamento del periodo di lavori per problemi tecnici. Infine gli interventi necessari al nodo di Torino e l’acquisto del nuovo materiale rotabile, per il trasporto sia di merci sia di passeggeri.
6) Gli adeguamenti dei prezzi possono riservare sorprese. A livello di progetto preliminare per la tratta italiana della parte comune, presentata ad agosto 2010, viene dato un costo che è solo del 5,5% in più rispetto alla valutazione di 4 anni e mezzo prima. Ma a livello di progetto definitivo, per la galleria geognostica di Chiomonte, a maggio 2010, viene dato un costo che raddoppia quello del progetto preliminare del 2005, pur affermando che si tratta di un progetto talmente simile a quello di Venaus da poter essere riaffidato allo stesso gruppo di imprese che aveva vinto l’appalto precedente. Si passa dai 65 milioni di euro per 7 km di galleria (+19 milioni per un eventuale prolungamento di 3 km) del 2005, ai 137 milioni di euro per 7,5 km del progetto di maggio 2010. Il solo adeguamento dei prezzi 2004-2009 ha comportato un aumento del 30 % in 5 anni!
7) Su queste basi non sembra fuori luogo prevedere un raddoppio dei costi di tutta l’opera ed ipotizzare per la Torino-Lione un costo per l’Italia di 35 miliardi di euro, più le voci che, come si è detto, sono ancora da calcolare. I consuntivi per il progetto dell’Alta Velocità italiana fanno ritenere corretta tale cifra. Le spese della Roma-Firenze sono cresciute di 6,8 volte rispetto ai preventivi, quelle della Firenze-Bologna di 4 volte, quelle per la Milano-Torino di 5,6 volte rispetto al 1991. Il costo ipotizzato rappresenterebbe un aumento di 6 volte rispetto ai corrispondenti preventivi di 20 anni fa e quindi rientrerebbe nella norma.
8) Il costo al km dà dei dati impressionanti: se facciamo una media della intera parte comune italo-francese dividendo i 14 miliardi di euro della domanda di finanziamento all’Unione Europea per gli 80 km allora previsti, arriviamo ad un costo di 175 milioni di euro per km, in euro del gennaio 2006. Ma se dividiamo gli 8,8 miliardi che pagherà effettivamente l’Italia per i suoi 35,5 km della parte comune si arriva a 250 milioni per km. Per la tratta esclusivamente italiana, la valutazione è più incerta per via della mancata presentazione del tracciato preliminare, ma le notizie di stampa fornite dagli stessi proponenti ammettono un costo storico di 120 milioni di euro per Km, che, tradotto in euro correnti, corrisponde a 160 milioni di euro per km.
9) Le merci della nuova Torino-Lione non possono attraversare le gallerie del nodo di Torino, perché le normative di sicurezza impediscono il passaggio contemporaneo di passeggeri e merci nelle gallerie che passano sotto la città. Pertanto sarà necessaria la costruzione di una “Gronda merci” a Nord e Nord-Ovest della città, i cui costi andranno ad incrementare quelli del progetto perché il trattato vigente non riguarda il nodo di Torino.
10) Per quanto riguarda l’occupazione indotta, il progetto della tratta italiana della parte comune italo-francese, presentato ad agosto 2010, prevede una occupazione media di 1020 unità lavorative su una durata media di 7 anni. Rimanendo sempre all’ipotesi ottimistica di 8,8 miliardi di euro del 2006, per le opere civili, in termini di occupazione questa cifra, tenendo conto della globalità del lavoro indotto, corrisponde ad un preventivo di 9 milioni di euro per ogni addetto che lavori per 7 anni. Poiché 7 anni sono un quinto di una vita lavorativa questo significa, in termini di occupazione, che alimentare il settore delle grandi opere significa, per le risorse nazionali, investire 45-50 milioni di euro per ogni addetto, cioè poco meno di 100 miliardi di vecchie lire. Ci si può chiedere quanti interventi a favore dell’occupazione, della sanità o dell’istruzione pubblica si potrebbero fare utilizzando diversamente importi di questo peso. E quanto costi allo stato alimentare questo settore anche oltre le effettive necessità infrastrutturali.