Home C'era una volta Peter Gabriel e l’album del plenilunio

Peter Gabriel e l’album del plenilunio

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Il 21 settembre 2002 arriva nei negozi l’album “Up” di Peter Gabriel. Spontaneità e improvvisazione sono due termini che non appartengono al vocabolario personale dell’ex leader dei Genesis che ha sempre cercato di non lasciare quasi niente al caso. Se fosse rivolto a qualcuno dei suoi colleghi un giudizio come questo suonerebbe negativo, ma nel suo caso non è così, anzi diventa l’indicatore di una ricerca costante e un’insoddisfazione di fondo così lontane dai tempi e dalle regole del music business da diventare quasi un gesto rivoluzionario.

Dieci anni di tempo

Son passati dieci anni da quando ha pubblicato l’ultimo disco compiuto, dieci anni nei quali ha trovato modo di cambiare idea più volte non solo sulla musica, ma anche sulla propria vita, visto che nel frattempo ha divorziato, ha trovato una nuova compagna, è diventato padre e, in concomitanza con la conclusione dell’album, ha deciso anche di risposarsi. Così, a distanza di sette anni dall’inizio della lavorazione è arrivato Up, un disco nuovo i cui brani sono già quasi tutti stati testati da tempo via Internet. Il buon Peter racconta che gli undici brani sono stati scelti tra circa centotrenta pezzi, lasciando intendere che la sua ricerca non era orientata a selezionare il meglio del meglio, ma semplicemente a infilare una serie di temi musicali utili a dare un senso all’idea che aveva in mente.. Up è disponibile nei negozi a partire dal 21 settembre, in coincidenza con il plenilunio. Quella delle fasi lunari è una “flippa” che da tempo cattura l’attenzione dei frequentatori del suo sito ufficiale, ormai divenuto una sorta di club dei lunatici. Anche la messa in rete della anticipazioni dei brani ha coinciso con le fasi di luna piena. Il lavoro di ricerca si sente fin dal primo brano, quel Darkness, nel quale ci si ritrova a visitare la “casa nel bosco”, che contiene le paure e le fantasie della fanciullezza. L’intero disco è una sorta di lungo viaggio interiore, appoggiandosi a situazioni esterne (spesso poco più di un pretesto musical-letterario) alla ricerca di quell’equilibrio che il musicista dice di aver trovato. Anche dal punto di vista musicale la ricerca è complessa e attraversa l’intera esperienza di Peter Gabriel, non escluso qua e là qualche richiamo, pur se non rivendicato, al periodo dei Genesis.

Se ci espone troppo alla TV si diventa zombies

Una curiosità per gli intenditori è rappresentata da More than this, forse il più positivo e ottimista dell’intero album, di cui si racconta che Peter abbia scritto anche la partitura per la chitarra, uno strumento che il nostro non ha mai imparato a suonare e che usa in modo decisamente naïf, con manipolazioni e campionamenti d’ogni tipo. A far da trailer al lavoro è stato scelto The Barry Williams Show, un brano che mette alla berlina la cosiddetta “TV verità” e stabilisce un collegamento tra le disfunzioni comportamentali e la televisione di massa. «La televisione è gradevole, ma pericolosa e, come accade per i medicinali, va assunta in dose giusta. Io se resto esposto al tubo catodico per più di mezz’ora divento uno zombie». Il disco è tutto suo. Per la prima volta s’è occupato interamente della produzione, anche se nella fase finale del missaggio ha chiesto un aiutino a Tchad Blake, cui si è aggiunto Stephen Hague per il missaggio di I Grieve. Sempre per non lasciare niente al caso ha radunato una serie di musicisti navigati come il chitarrista David Rhodes, il bassista Tony Levin e il contrabbasso di Danny Thompson, più la solita serie di batteristi e percussionisti che lui, ex batterista, non manca mai di schierare: Manu Katche, Ged Lynch, Dominic Greensmith, Will White, Ged Lynch, Mahut Dominique e Hossam Ramzy. Tra le voci che intervengono ci sono quelle dello scomparso Nusrat Fateh Ali Khan, di sua figlia Melanie e degli arzilli anzianotti che compongono i Blind Boys of Alabama. Tra gli ospiti, infine, sono ancora da citare il chitarrista Daniel Lanois e l’immancabile Peter Green, uno suoi miti adolescenziali.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".