Home Green World Sannino, oceanografo: «Sul clima si applichi l’accordo»

Sannino, oceanografo: «Sul clima si applichi l’accordo»

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Gianmaria Sannino è un giovane scienziato, un oceanografo esperto di modelli climatici. Uno di quelli che dallo schermo di un computer riesce a farti vedere come potrebbe diventare il nostro pianeta in futuro. Se la Terra verrà trattata bene avrà l’aspetto “X”, altrimenti ci toccherà la condizione “Y”, e saranno guai per tutti. Dal 2005 Sannino lavora all’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, dove attualmente è il responsabile del laboratorio di modellistica climatica e impatti. A lui ci rivolgiamo per capire qualcosa in più dopo l’accordo di Parigi sul clima raggiunto, ricordiamolo, da ben 190 Paesi.

Clima, una riflessione su Cop21

La Cop21 si è conclusa con l’approvazione di un testo che entra in vigore tra 5 anni e al quale gli stati devono attenersi. Ma si tratta di regole che non comportano sanzioni per chi non le rispetta. Secondo lei funzionerà?

E’ auspicabile che l’accordo venga applicato, indipendentemente dalle sanzioni. Questo è quello che mi auguro, più che altro come padre di famiglia. Sta all’etica dei singoli Stati mettere in pratica, in modo efficace, l’accordo raggiunto. Si tratta di essere seri dal punto di vista istituzionale. Voglio sperare che tutti lo facciano nel migliore dei modi. Sull’Europa, in particolare, possiamo essere abbastanza sicuri che si darà da fare.

L’anidride carbonica ha raggiunto nel 2014 la media di 397,7 ppm (parti per milione). Il limite di 400 è stato superato nel 2015. Rischiamo di andare in giro nei centri urbani indossando le mascherine come a Pechino?

Questo che lei ha citato è il valore medio di anidride carbonica. Poi è ovvio che ci sono dei posti come Pechino dove trovi dei picchi elevatissimi. Ma ce ne sono anche altri dove c’è meno CO2. Se lo scopo della Cop21 è quello di non superare il grado e mezzo, direi che non siamo a rischio Pechino.

Questo vale anche per l’Italia?

Sappiamo che l’Italia è tra i Paesi europei con il maggiore inquinamento dovuto al traffico di autoveicoli. Con l’applicazione, nei prossimi anni, delle regole stabilite a Parigi, che limitano le emissioni di gas serra, ai livelli di Pechino non dovremmo arrivarci.

A Parigi nulla è stato fatto per abolire i 5.300 miliardi di sussidi che ogni anno vengono spesi per i combustibili fossili. Solo in Italia, secondo Legambiente, ammontano a circa 14 miliardi l’anno. Perché non si riesce ancora ad interrompere questo enorme flusso di denaro e a deviarlo verso scopi più sani?

Questa è una domanda che non dovrebbe fare a me che faccio il climatologo. Penso, però, che questi sussidi non possano essere tagliati da un giorno all’altro. Mi aspetto, sempre grazie all’accordo finale della Cop21, che questi finanziamenti vengano ridotti di conseguenza.

Il suo collega climatologo alla Columbia University, James Hansen, sostiene che servirebbe una tassa sui carburanti fossili a livello globale per contribuire efficacemente ad un riduzione delle emissioni. Lei è d’accordo?

Sicuramente i trasporti sono una delle cause principali dell’emissione di gas serra. Quindi, sì. Sono d’accordo con qualunque cosa vada nella direzione di una drastica riduzione dell’inquinamento da trasporto. Secondo me è una possibile via da applicare.

Ha mai fatto una stima sulla durata di utilizzo del petrolio? Per quanto tempo ancora le nostre vite saranno condizionate da questo combustibile fossile?

Io personalmente non ho mai fatto una stima in tal senso. Mi ricordo che molti anni fa si diceva che il petrolio non sarebbe durato a lungo. Sono passati quarant’anni e siamo ancora qua. Non ho una stima personale: il feeling è che comunque ce ne sia ancora abbastanza da bruciare per rendere il clima peggio di quello che è. Sicuramente è necessario cominciare a cambiare rotta, indipendentemente da quanto petrolio abbiamo ancora, da quanto se ne potrebbe ancora bruciare o meno.

GIANMARIA SANNINO
Foto da: ENEA

Dottor Sannino, lei che è abituato ad elaborare modelli previsionali sul futuro del nostro pianeta, qual è, a suo parere, il tipo di scenario più probabile al quale andremo incontro?

In realtà, se venisse veramente applicato quello che è venuto fuori dalla Cop21, vale a dire di rimanere al di sotto dei due gradi, si andrebbe verso uno degli scenari più ottimisti tra quelli già previsti. Uno scenario caratterizzato dalla riduzione sistematica della CO2 a livelli inferiori rispetto a quelli attuali, e in tempi abbastanza ridotti. Probabilmente nel breve periodo saremo ancora sottoposti all’azione del cambiamento climatico che, però, sul medio e lungo periodo, non è più un cambiamento di tipo irreversibile. E non staremo più a parlare di ghiacci che si sciolgono a causa del riscaldamento globale. Dunque, la decisione di rimanere al di sotto dei 2 gradi di media è sicuramente la scelta migliore. Ed è un ottimo risultato anche per gli scienziati perché dimostra che il loro lavoro è stato preso in considerazione. Dal nostro punto di vista, dal punto di vista di chi fa questo mestiere la Cop21 è stata sicuramente un successo.

Lei non è per niente pessimista!

Ho due figli piccoli. Devo essere per forza ottimista. Le conferenze precedenti sono andate molto peggio. Almeno adesso c’è un testo serio. Ricordo che ho letto, qualche giorno fa, un bel commento pubblicato sul Guardian che riportava alcuni dettagli sulle dinamiche che hanno accompagnato gli sviluppi dell’accordo di Parigi. La cosa stava andando in porto per un motivo semplicissimo: perché il numero di parentesi quadre all’interno del draft che girava si stava riducendo sempre di più. La parentesi quadra racchiudeva tutte quelle cose che si possono o che non si possono fare. Il fatto che si stesse riducendo il numero di parentesi quadre, dunque, era il sintomo che si stava arrivando ad un accordo. E si stavano riducendo anche le pagine stesse del testo. Un dettaglio importante perché questo stava a significare che c’erano meno possibilità di prendere traiettorie parallele che andassero chissà dove. Fortunatamente, durante la conferenza è stata percorsa la direzione giusta: hanno visto le proiezioni climatiche e hanno considerato che il modo migliore per spendere meno soldi in futuro fosse quello di tenere la temperatura sotto il grado e mezzo a livello globale.

Ha pesato anche la pressione esercitata dall’opinione pubblica?

Sicuramente. L’esito della Cop21 nasce anche da una forte consapevolezza dell’opinione pubblica che non ha lasciato i decisori di Parigi liberi di fare quello che volevano. Stavolta la gente è scesa in piazza con una consapevolezza maggiore di qualche anno fa. E questo anche grazie al nostro lavoro, alle nostre ricerche, i cui risultati è giusto rendere pubblici. La sensazione è che il testo frutto dell’accordo sia un documento importante. Non penso che alla Cop21 si potessero inserire dei limiti da imporre per legge. Stiamo parlando del futuro dei nostri figli. Non c’è bisogno, secondo me, di mettere dei controlli.

Dunque, la responsabilità è più giusto che spetti ai singoli Stati?

Ai singoli Paesi e ai singoli cittadini. Anche i cittadini devono essere attivi e chiedere ai governi che le regole vengano rispettate. Principalmente per loro stessi. Secondo me, a Parigi, è andata meglio delle previsioni.