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Walter, simbolo della Generazione X

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Walter
La copertina di "Tutti giù per terra" di Giuseppe Culicchia

“I figli degli operai, i figli dei bottegai, i figli di chi è qualcuno e di chi non lo sarà mai”. È una strofa della canzone dei C.S.I. Tutti giù per terra, colonna sonora dell’omonimo film di Davide Ferrario del 1997. E, se l’avete sentita passare in radio, l’avrete associata sicuramente all’altrettanto omonimo romanzo di Giuseppe Culicchia uscito nel 1994 per Garzanti. È la storia di Walter (nel film interpretato da Valerio Mastandrea), un giovane timido e impacciato, che guida il lettore in tutta una serie di esperienze, a volte ironiche a volte mortificanti, facendoci riflettere sulla condizione di un giovane post-adolescenziale pieno di problemi e incomprensioni senza, tuttavia, farci perdere il sorriso. Vincitore del Premio Grinzane Cavour 1995, l’opera d’esordio dello scrittore piemontese è ambientata nella Torino tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, in un’Italia che sta avvertendo i primi sintomi di una profonda crisi di valori, d’economia e di lavoro.

Walter, emblema della generazione X

Tutti giù per terra, la trama

Walter è un ragazzo sui vent’anni. Spaesato e senza ambizioni, non ha soldi né un lavoro; ha poca voglia di studiare all’Università, continue incomprensioni con il padre, una madre malata di nervi, pochi amici e non ha una ragazza. Quando arriva la cartolina precetto per il servizio militare, Walter decide di prestare servizio civile presso il C.A.N.E. ossia il Centro Accoglienza Nomadi ed Extracomunitari e per lui questo primo contatto con la realtà coinciderà con milioni fotocopie da fare per il suo responsabile Lupo, insegnanti dalle richieste assurde, politici a caccia di voti, zingari e raccomandate con ricevuta di ritorno (nella pellicola di Ferrario, nel ruolo di un’impiegata delle Poste fa la sua apparizione anche una giovanissima Luciana Littizzetto).

Walter ha problemi a rapportarsi con l’altro sesso, non riesce a fare l’amore forse perché, semplicemente, non è mai stato innamorato; ma anche quando, verso la fine del romanzo, avrà compreso di provare un sentimento molto forte per una ragazza gitana che ha inseguito per riprendersi un reggiseno rubato in un negozio, non sarà capace di realizzarlo appieno, percependo la sua incapacità a cambiare lo stato delle cose. Il libro di Culicchia riesce ad affrontare tematiche molto delicate e problemi scottanti senza mai perdersi in discorsi troppo moralistici o eccessivamente psicologici; la sua penna è sempre semplice ed efficace tramite l’utilizzo di paragrafi brevi e frase concise facendoci provare, alla fine, una sensazione di sorriso amaro e di compassione verso le disavventure del protagonista; un libro che, come è stato sottolineato, tocca “con leggerezza, ma mai con superficialità tasti come la politica, l’amore, il sesso, la famiglia, l’Università e la droga; un piccolo romanzo narrativo che merita per il suo humour spesso spietato, per il suo acume nel percepire le miriadi di sfaccettature esistenti e per il piccolo boccone amaro che s’ingoia nel finale del libro; una conclusione che ti spiazza nella sua devastante verità non potendo fare altro che incassare il colpo”.

Tutti giù per terra, un romanzo generazionale

Leggendo le pagine del libro di Culicchia, si percepisce molto bene la descrizione di una generazione facoltosa, cresciuta nella bambagia che ha come bisogno principale o quello di “sballarsi” in discoteca come la migliore amica di Walter, Enza, o che sogna di fare la rivoluzione dal salotto di casa come nel caso dello studente Alessandro Castracan. È però il ritratto di una gioventù decisamente incerta sul suo futuro, che subisce le pressioni dell’ambiente circostante e dei valori individualistici e consumistici che dominano il contesto sociale; una sorta di apparente benessere economico che si concretizza, nella mente di Walter, nella terribile prospettiva di fare il commesso in un negozio, una situazione che lo terrorizza in quanto lo farebbe sentire come un animale in gabbia senza nessuna possibilità di fuga. Tutti giù per terra è stato definito come il romanzo di una fantomatica generazione X che vive senza ideali, disincantata e, a tratti, decisamente cinica verso la società in cui vive. E dove si fa palese lo scontro tra generazioni: “Se venti o trenta anni fa si poteva pensare di rispondere a uno stato di fatto con un’utopia, oggi sembra che al nulla si possa contrapporre soltanto il nulla”. Walter diventa così una sorta di simbolo di una generazione che avverte un profondo malessere esistenziale, un senso di disagio dovuto a una sensazione di inadeguatezza ad affrontare il futuro. Sotto questo profilo, non esiste prospettiva, via d’uscita o possibilità di rompere il cerchio che avvolge Walter e la caratteristica fondamentale della sua vita diventa così uno stallo permanente in cui non resta spazio neppure per la delusione in quanto non si è nutrita e non si nutre alcuna illusione di cambiamento come non manca di sottolineare lo stesso Walter: “Non ero mai stato così solo. Solo ero nato. Solo avevo vissuto sino ad allora, Solo sarei morto un giorno […] Non rimaneva più niente di ciò che eravamo stati. Niente dei nostri sogni. Niente del nostro modo di sorridere o camminare. Non restava più niente di niente di niente.”

https://www.youtube.com/watch?v=p7Rnczq2qIs&ebc=ANyPxKp7e0F93AaphRzyuAetRulKyRwcCr9fWdfkR3c5Y2CkQl6AXqO9vdXyFr91-rY7Sp1tTtcovEqRVukN5DsjvDzkd7ab5A

Eppure quello che stupisce di più, continuando la lettura delle pagine del libro di Culicchia, è lo stile dello scrittore piemontese nel “fotografare” la condizione del giovane post-adolescenziale; è uno stile leggero e ironico, una narrativa che scorre con molta fluidità e in cui il pessimismo di Walter non sfocia mai nello psicodramma. Nel finale del libro, intriso d’amarezza, Walter prenderà coscienza del fatto che, probabilmente, non “imparerà a vivere” bensì a convincersi a “lasciarsi vivere” dalla vita perché, alla fine, da quel sistema cui cercava di sfuggire, in realtà, non ne è scappato per nulla: “Alla fine ero diventato anche io un commesso. Dalla mia gabbia guardavo fuori, ma non c’era più nulla da vedere”.