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Maurizio De Benedictis, ciak sul cinema

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Cinema
Lo studioso del cinema Maurizio De Benedictis intervistato sulle pagine di Daily Green sul cinema italiano ed estero del presente e del passato

Come sostenne diverso tempo fa il maestro giapponese Akira Kourosawa, “il cinema racchiude in sé molte altre arti; così come ha caratteristiche proprie della letteratura, ugualmente ha connotati propri del teatro, un aspetto filosofico e attributi improntati alla pittura, alla scultura, alla musica”. E non a caso, il cinema è definito come la “settima arte”. Per saperne di più sullo stato attuale del cinema italiano e non solo, siamo andati a parlarne con uno dei critici più noti del settore: Maurizio De Benedictis. Professore di Storia e critica del cinema all’Università La Sapienza di Roma, è autore di numerosi libri e saggi su Ejzenštejn, Fellini e Pasolini. Daily Green l’ha intervistato a tale proposito.

Cultura e cinema, intervista a Maurizio De Benedictis

Maurizio, tu sei autore di molti saggi di critica cinematografica e nei tuoi libri hai indagato in particolare il cinema italiano, soprattutto il periodo che va da Rossellini a Pasolini. Come vedi la situazione del cinema italiano contemporaneo?

Attualmente il cinema nostrano attraversa una fase di profonda crisi soprattutto dal punto di vista economico. Mentre negli anni ’50 e ’60 eravamo il secondo paese al mondo per quantità di film prodotti e qualità cinematografica, oggi, al contrario, si realizzano pochissimi film tanto che una nazione come la Romania ne produce più di noi. Stessa situazione dal punto di vista della distribuzione; molte sale hanno chiuso con la pausa estiva e non hanno più riaperto i battenti. Con l’approvazione del decreto 85 del 13 aprile 2010, poi, i cinema devono installare dei sistemi adeguati per la proiezione digitale dei film ma questi impianti sono molto costosi (circa 30.000 euro) con il rischio di assestare un altro duro colpo all’intero sistema. E se pensiamo che la stessa Fandango sta restringendo la propria attività sia nel settore cinematografico che in quello editoriale, possiamo dire di trovarci nell’anno zero del cinema italiano.

Secondo te c’è crisi di creatività e di idee sotto questo profilo?

Non credo ci sia una crisi di idee da questo punto di vista, il livello del “talento” generale è sempre alto mentre stanno venendo meno le condizioni ideali dove la creatività possa esprimersi. Il rischio principale è quello che persone dotate di talento non presentino più progetti cinematografici per cercare di emergere, come a testimoniare la mancanza di aspirazione a diventare registi. Al contrario, un sistema produttivo serio stimola l’ideazione dei “cervelli” proprio perché così si può coltivare la speranza concreta di entrare nel mondo della cultura e dello spettacolo.

Quello che stiamo rischiando è un vero e proprio letargo della creatività. Ultimamente, noto però dei segnali in controtendenza come, ad esempio, Sacro Gra girato e realizzato con un budget ridotto (il film è costato poche migliaia di euro) e basato su un’idea originale anche se, come ho già detto, il passaggio dalla pellicola al digitale può essere rischioso per quanto riguarda la distribuzione stessa e quindi non permettere la visione di nessun tipo di film o lungometraggio.

Passando dall’altra parte della camera da presa, nei tuoi saggi hai illustrato l’arte dell’acting evidenziandone gli aspetti peculiari delle grandi scuole recitative. Vuoi illustrarci in breve le caratteristiche principali?

Se il ruolo del regista sta decadendo per le ragioni che ho appena illustrato, il mito dell’attore e dell’attrice continua a mantenere il suo fascino. Forse perché in un momento di crisi come questo, l’attore non è percepito come un imprenditore (al contrario del regista), non rischia di suo e spera nella possibilità di essere scelto. In Italia, esistono tante scuole di recitazione ma le due più importanti sono l’Accademia di Arte Drammatica (per il teatro) e il Centro Sperimentale di Cinematografia (per il cinema). Ma, al di là delle istituzioni deputate alla formazione professionale degli attori e delle attrici, c’è un aspetto che mi preme molto sottolineare nel rispondere a questa domanda e riguarda il sistema contrattuale. Negli anni passati, si cercava di garantire una certa continuità lavorativa per un attore tramite il sistema dei lunghi contratti in modo da consentire la crescita personale e lo sviluppo della professionalità; oggi, invece, il sistema contrattuale vede una sorta di precariato e non è inusuale assistere al fenomeno delle “meteore”.

Cinema
Giuseppe Tornatore

Come dire, se si sbaglia un film si rischia di non lavorare più e di vedere la propria carriera finire anzitempo. Viceversa, oggi la tipologia dei lunghi contratti si è estesa soprattutto ai serial televisivi in quanto il piccolo schermo ha decisamente soppiantato il cinema nei gusti quotidiani degli utenti. Come ha sottolineato recentemente un grande regista come Giuseppe Tornatore, le sale cinema lavorano ormai solo il weekend mentre negli altri giorni della settimana sono i serial TV a farla da padrone. Questo spostamento nelle preferenze del pubblico si è riflesso, pertanto, anche nel sistema dei contratti per gli attori. Per quanto riguarda i serial TV vorrei fare una considerazione e cioè che il pubblico di queste trasmissioni è ormai oggetto di studio da parte di uffici marketing altamente specializzati che coinvolgono gli spettatori al fine di fidelizzarli in maniera opportuna. Paradossalmente, questi serial TV hanno realizzato, seppur in maniera grottesca, le aspirazioni del Teatro d’Avanguardia d’inizio ‘900 riguardo la partecipazione dello spettatore durante la rappresentazione stessa. All’epoca, questi autori teatrali cercavano di cambiare i canoni stessi del teatro, ossia dalla semplice fruizione dello spettacolo da parte del pubblico alla sua partecipazione attiva. Ejzenštejn, poi, cercò di portare questa sperimentazione anche nel cinema pur se poi si rivelò solo un’illusione.

Attori italiani di ieri e di oggi. Quali differenze e quali analogie trovi?

Nel periodo d’oro del cinema nostrano, abbiamo avuto una serie di grandi attori come Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi e Alberto Sordi, specializzati soprattutto nella comicità. Pur studiando per diventare degli interpreti drammatici, si sono affermati come attori comici dando così un grande contributo all’affermazione della commedia all’italiana. Autentici attori drammatici, direi invece molto pochi; certamente Marcello Mastroianni, ma per lui era piuttosto semplice interpretare un ruolo drammatico perché il dramma era parte di lui stesso; direi Gian Maria Volontè, con punte grottesche specie nei film di Elio Petri (Todo modo), mentre con Francesco Rosi il dramma viene decisamente enfatizzato (Uomini contro, Il caso Mattei); e, in ultima analisi, sicuramente Giancarlo Giannini.

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Anna Magnani

Per quanto riguarda le attrici, abbiamo due mostri sacri come Anna Magnani e Sofia Loren che si son sempre mosse sul sottile confine tra comicità e drammaticità. Un capitolo a parte meritano Alberto Sordi e Totò. Da questo punto di vista, parliamo di due giganti dell’interpretazione italiana, con una forte caratterizzazione comica (Sordi su Roma e Totò su Napoli), una grande capacità istrionica e un’accentuata gestualità tipica del centro-sud d’Italia. Al giorno d’oggi ci sono dei buoni attori come, ad esempio, Pierfrancesco Favino, anche se gli aspiranti attori fanno fatica ad emergere in quanto, in quel poco di produzione che ancora si riesce a realizzare, lavorano sempre nomi conosciuti come Sergio Castellitto, Massimo Ghini e Toni Servillo. È un peccato perché i talenti ci sono ma non hanno grandi possibilità di affermarsi in un settore sempre più stagnante come quello della produzione cinematografica.

Cinema europeo e cinema americano. Nella tua carriera di studioso hai analizzato e scritto anche di ciò che accade oltre le nostre frontiere. Quali sono i tratti che ci accomunano di più al cinema estero e quelli che ci caratterizzano secondo te?

Come ho avuto modo di accennare prima, l’attuale cinema italiano non si configura come un quadro stabile di sistema ma piuttosto come delle produzioni occasionali. Direi che non esiste più il cinema italiano in quanto tale ma dei singoli film italiani, sempre meno numerosi tra l’altro. In passato, avevamo alcuni filoni importanti (il Neorealismo con Roberto Rossellini, la Commedia all’italiana con Ettore Scola e Mario Monicelli, la fase delle grandi personalità della regia come Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini e Michelangelo Antonioni) ma successivamente il cinema italiano è venuto meno come quadro d’insieme.

Cinema
Matteo Garrone

Attualmente nomi come Matteo Garrone, Emanuele Crialese e Paolo Sorrentino sono ottimi registi ma mancano decisamente movimenti cinematografici come quelli del passato. Non è così negli altri paesi; la Francia, ad esempio, non è mai venuta meno verso il proprio cinema sia in termini di quantità che in termini di qualità e questo perché lo Stato francese ha sempre appoggiato e difeso la cultura cinematografica nazionale. Siamo in calo anche rispetto a cinematografie meno brillanti rispetto la nostra come Inghilterra e Germania. In America, poi, son venuti fuori nuovi talenti anche in questa fase di crisi in quanto la filosofia dello “spettacolo” funziona sempre. Questo perché nel contesto americano c’è una grande capacità di adattamento sia individuale che collettiva rispetto l’innovazione stante le condizioni ambientali ed economiche. Anche India e Cina stanno facendo passi in avanti nel settore della produzione cinematografica, si pensi a Bollywood. Però è da sottolineare anche che, specie in Cina, nonostante grandi investimenti finanziari, la situazione del settore cinema non decolla tanto quanto il campo economico e finanziario; probabilmente è un fattore di natura culturale. Insomma, gli americani riescono a essere ancora all’avanguardia nel cinema in quanto, nel campo dell’immaginario, hanno sempre accoppiato un grande talento sia imprenditoriale che culturale.