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“African metropolis”, viaggio nella città immaginaria

“La città è un discorso e questo discorso è veramente una lingua: la città parla ai suoi abitanti, noi parliamo la nostra città, la città dove ci troviamo, semplicemente abitandola, percorrendola, guardandola.” (Roland Barthes, L’aventure sémiologique)

Al MAXXI di Roma si percorre un viaggio immaginario nella ricchezza ed intensità dell’Arte africana, ma per raccontare l’identità composita, eterogenea e stratificata delle metropoli contemporanee, piena di contraddizioni ma anche di bellezza – Dal 22 giugno – al 4 novembre 2018 – www.maxxi.art|#AfricanMetropolisExhibit.
La mostra African Metropolis. Una città immaginaria, è a cura di Simon Njami ed Elena Motisi, realizzata con la collaborazione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – DGMO, main partner Eni. Fa parte di un più ampio progetto fortemente voluto da Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI, dedicato alla vitalità della scena artistica di un continente in crescita, tra contraddizioni e ferite aperte, ed è parte di quella linea di ricerca del museo che vede nell’arte e nella cultura, strumenti di dialogo e diplomazia culturale. African Metropolis approfondisce inoltre uno dei filoni di ricerca del MAXXI, quello sulla grande città e le sue dinamiche, i suoi fermenti, in continuità con le mostre sulla scena creativa del Mediterraneo dedicate a Istanbul e Beirut: mostre multidisciplinari che coniugano ricerca artistica, design, architettura e urbanizzazione.
E’ una buona occasione per offrire, attraverso il linguaggio dell’arte, un contributo alla conoscenza, al dialogo verso la costruzione di pace ed il consolidarsi auspicabile di sicurezza. Il progetto prevede anche la mostra Road to justice (22 giugno – 14 ottobre 2018), a cura di Anne Palopoli – Memoria, rabbia, perdono e riconciliazione nei lavori di 9 artisti, per raccontare passato presente e futuro di un’Africa in rapida evoluzione: John Akomfrah, Marlene Dumas, Kendell Geers, Bouchra Khalili, Moshekwa Langa, Wangechi Mutu, Malik Nejmi, Michael Tsegaye e Sue Williamson. 
“Niente come tornare in un luogo rimasto immutato ci fa scoprire quanto siamo cambiati.” (Nelson Mandela) – www.maxxi.art|#RoadToJusticeExhibit
Le mostre si snodano intorno a lavori che catalizzano l’attenzione, capaci di ricreare la sensazione dello spazio cittadino e le sue dinamiche. Sono oltre 100 i lavori di 34 artisti africani che diventano gli elementi di una città immaginaria, di un percorso che, tra fotografia, installazioni, sculture, tessuti e video, restituisce il caos, la ricchezza, le sfaccettature dell’identità contemporanea africana e globale.
I curatori hanno individuato cinque azioni metropolitane – Vagando, Appartenendo, Riconoscendo, Immaginando e Ricostruendo – Attraverso queste tematiche si racconta una città immaginaria che però consente al visitatore di individuare sia lo spazio fisico di una metropoli contemporanea, sia quello mentale, definito dalle sensazioni e dalle emozioni risvegliate in noi. Per tutti gli artisti il tema della memoria è fondamentale, sia nel caso della carica distruttiva che ha lasciato segni indelebili che non possono essere ignorati, sia soprattutto per la sua straordinaria capacità di poter guarire e riconciliare attraverso la simbolizzazione dell’Arte. Nella storia del continente africano, la deportazione di intere popolazioni e la colonizzazione hanno progressivamente distrutto le culture esistenti, alterato equilibri politici, religiosi e sociali; le popolazioni autoctone sono state catapultate in una realtà culturale e politica fabbricata dall’esterno, che ne ha causato la progressiva e violenta marginalizzazione. Quindi la memoria viene oggi rivitalizzata e protetta per aumentare la consapevolezza delle proprie radici, aiutare a rimarginare le ferite ed a ristabilire la dignità di un’etnia attraverso i linguaggi, ma soprattutto nell’intenzione di comprendere il passato per indirizzarlo verso un futuro in un contesto interculturale. 
La metropoli nella quale ci invita la mostra è una città costruita da chi la abita; è quindi un alternarsi di immagini e immaginari, tra le Falling House (2014), le case sospese a testa in giù, di Pascale Marthine Tayou, fragili architetture domestiche composte da una miriade di immagini, i tessuti di Abdoulaye Konaté Calao (2016) e Alep (2017), simbolo di memoria e denuncia sociale, e l’installazione monumentale di El Anatsui Stressed World (2011), composta interamente di rame riciclato. La mostra affronta temi di attualità con Bureau d’echange (2014) di Meschac Gaba, che denuncia come tutte le materie prime legate alle risorse naturali, siano diventate prodotti di speculazione capaci di condurre la società a profonde crisi economiche, o con World Disorder II (2017) di Paul Onditi, artista che solleva interrogativi sugli sconvolgimenti politici, strutturali, sociali ed economici a livello locale e mondiale. Ma c’è anche spazio per la speranza, il sogno e le nuove possibilità, tra i vestiti disegnati da Lamine Badian Kouyaté (Xuly.Bet) che si affacciano sulla piazza del museo come in una vetrina; creazioni che trasmettono i valori della modernità africana e che dimostrano come qualsiasi cultura possa diventare avanguardia. Poi ancora le fotografie di Mimi Cherono Ng’ok il cui sguardo trasforma ogni luogo in un paesaggio emotivo, legato alle esperienze e al vissuto dell’artista, o quelle di Sarah Waiswa che in Ballet in Kibera (2017) ritrae un gruppo di bambini di una periferia impegnato in una lezione di danza classica.
Riconoscere se stessi nella grande eterogeneità dell’Africa è uno degli obiettivi della mostra. Ci si chiede come si possa vivere insieme in uno spazio che sembra composto da differenze insormontabili e se sia possibile costruire il ritratto di una città di cui tutti siano abitanti pur essendo stranieri. Mettendo in mostra parte della produzione artistica di un continente che comprende oltre cinquanta nazioni, migliaia di città e milioni di abitanti, African Metropolis riesce a restituire un contesto universale e ci aiuta a comprendere le città di tutto il mondo. 
Insomma, complessivamente le due mostre contribuiscono alla riflessione sulle complessità del continente africano, le sue ferite e la sua memoria, i possibili scenari futuri, anche attraverso un ricco elenco di incontri con artisti, architetti, scrittori, cinema, danza e musica live. Infatti per tutta la durata di “African Metropolis” e di “The road to justice”, un sostanzioso programma ne approfondirà i temi, ma proseguirà dopo la pausa del mese di agosto, a partire da settembre. Consultare – http://www.maxxi.art/
La mostra è accompagnata da un volume, edito da Corraini: un viaggio che invita a esplorare il continente attraverso le sue metropli, organism viventi in continua mutazione, con saggi e interviste di autori internazionali come Marco Scotini, Sumesh Sharma, Edgar Pieterse, Akinbode Akinbiyi, Bonaventure Ndikung. I testi, appositamente commissionati, affrontano tematiche diverse, dall’arte all’architettura, dalla geopolitica al difficile processo di urbanizzazione. (Le foto in articolo sono di Valter Sambucini)

MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo – via Guido Reni, 4/a, RM – info: 06 32.48.61 orario 11.00 – 19.00 (mart, merc, ven, sab, dom) |11.00 – 22.00 (giovedì) – chiuso il lunedì.
Per il mese di agosto 2018 il museo propone un biglietto speciale scontato a 7 € per visitare le dodici mostre ed i progetti speciali in corso, con apertura straordinaria fino alle 22.00 ogni giovedì. Apertura del museo anche a Ferragosto.

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