Home C'era una volta Cow Cow Davenport, tra blues e vaudeville

Cow Cow Davenport, tra blues e vaudeville

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Il 23 aprile 1894 ad Anniston in Alabama nasce il bluesman Charles Davenport. Conosciuto dagli appassionati con il nome di Cow Cow è uno dei grandi protagonisti della commistione tra il vaudeville di matrice francese e il blues. Il suo soprannome deriva dal grande successo ottenuto negli anni Trenta dal suo brano Cow Cow Blues, in cui mescola in un impasto sonoro di grande suggestione il linguaggio del ragtime con il calore delle barrelhouse, i locali dove si ritrovano i neri alla fine di una giornata di lavoro nei campi. Pianista dalla grande sensibilità e dal tocco robusto, oltre a costituire uno degli esempi più significativi del tentativo di incontro fra lo stile barrelhouse e il ragtime, è rimasto nella storia del jazz e del blues per il suo modo di suonare, in qualche modo unico. Alla sua forza interpretativa non è estraneo il vagabondaggio dei bluesmen di quegli anni che si ritrova nei contenuti dei brani. Figlio di un pastore, impara presto a suonare il pianoforte e si esibisce giovanissimo nelle feste di Birmingham in Alabama. In breve tempo diventa uno degli intrattenitori più richiesti per la simpatia e l’energia trascinante che sa trasmettere al pubblico. Ben presto la città comincia a stargli stretta.

Musicista vagabondo e rissoso

Alla prima occasione cambia aria e se ne va al seguito del Barkoot’s Show, uno spettacolo ambulante nel quale conosce il pianista Bob Davis che lo prende sotto la sua protezione artistica e lo aiuta a migliorare il suo stile. All’inizio degli anni Venti si esibisce negli spettacoli per minatori e operai del Texas e nel 1924 viene scritturato dallo Star Theatre di Pittsburgh in Pennsylvania. La vita sedentaria, però, non è nelle sue corde. Forma poi con la cantante Dora Carr il Davenport & Co, ma il sodalizio dura poco e Cow Cow riprende i suoi vagabondaggi, fra Chicago, Detroit, New York e altri grandi centri industriali, punti terminali delle grandi migrazioni nere del primo trentennio del secolo. In quel periodo registra una cospicua serie di dischi per la Vocalion e la Gennett.  Nel 1933 forma un gruppo itinerante, i Cow Cow’s Chicago Steppers, con il quale riprende i suoi viaggi nel sud. Sono anni turbolenti e Cow Cow non sa stare lontano dai guai. Condannato a sei mesi di carcere per rissa li sconta tutti a Camp Kilby, , presso Montgomery in Alabama.

Un maestro senza discepoli

Al termine si stabilisce a Cleveland dove apre un negozio di musica, ma un ictus gli toglie per un po’ l’uso del braccio destro. L’infermità non lo ferma. Chiede aiuto al suo amico pianista  Sammy Price e tiene fede al suo impegno contrattuale con la Decca registrando nel 1938 una serie di brani. Vagabondo per natura va poi a New York per lavorare con il pianista Art Hodes. Nella Grande Mela ottiene un notevole successo in uno spettacolo televisivo e in varie trasmissioni radiofoniche presso gli studi della WNYC. Alla fine della Seconda Guerra mondiale è a Chicago prima di spostarsi a Nashville, nel Tennessee, dove suona al Plantation Club. Nel 1955 è al Wheel Club in quello che è destinato a diventare il suo ultimo ingaggio. Le sue condizioni di salute, già precarie, peggiorano nuovamente e il 2 dicembre 1955 a Cleveland, nell’Ohio, una nuova crisi lo uccide. La sua caratteristica peculiare, che non ha trovato dopo la sua morte discepoli all’altezza, va individuata soprattutto nell’originale capacità di dividere i toni bassi da quelli acuti. Quella tecnica gli consentiva di creare degli effetti irripetibili e di grande efficacia. Il suo fascino e il suo successo non derivavano però soltanto dalla tecnica strumentale. Anche dalla sua voce rauca e talvolta fuori misura era parte della sua originalità.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".