Home Musica Da Ballister ad Ambarchi… tra Padova e Roma

Da Ballister ad Ambarchi… tra Padova e Roma

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Aspettavo questo giorno da tempo e l’occasione di ascoltare dal vivo questo trio delle meraviglie si è presentata finalmente venerdì 20 marzo. Il mio primo concerto dei Ballister. E, tasto per me ancor più dolente, questa è solo la seconda volta che partecipo ad un evento organizzato dal Centro d’Arte degli Studenti dell’Università di Padova: una sessantina d’anni di storia alle spalle e meriti infiniti.

Ho sentito suonare Dave Rempis solo in due memorabili occasioni, con il quintetto Vandermark 5. Poteva essere fine 2001 o i primi mesi del 2002: una sera dopo l’altra, prima a Roma (alla Palma) poi a Marghera (al Vapore), per due tappe consecutive del tour di “Acoustic Machine”, quinto album della formazione capitanata da Ken Vandermark.

Simile il discorso riguardante i miei precedenti con Fred Lonberg-Holm: anche qui due sere consecutive, per un’entusiasmante two days residency del Chicago Tentet (+1) di Peter Brötzmann al Café Oto di Londra, 9 e 10 novembre 2012.

Paal Nilssen-Love, invece, ho avuto la fortuna di ascoltarlo già diverse volte: con lo stesso Chicago Tentet, con The Thing al Copenhagen Jazz Festival, con il progetto Lean Left al Paradiso di Amsterdam, con gli Hairy Bones di Brötzmann all’Auditorium di Roma.

Quando cerchi un aggettivo che racconti un set come questo, rischi molto spesso di avvilupparti in una spirale di ipotesi lessicali dalla quale non puoi che uscire stremato. E quasi certamente senza la soluzione agognata. Scelgo quindi un aggettivo banale e definisco fantastico il concerto del trio. Fantastico per lo straordinario livello dei musicisti, per la tensione, di nervi e di note, come per le macchie di swing. Fantastico perché l’interplay è rodatissimo e coinvolgente, per loro tre non meno che per il pubblico. Fantastico perché tale è il luogo in cui i Ballister con forza ti conducono. La loro foresta. Abitata da un sax che è capace di ogni variazione di suono, di esplodere in barriti e ululati come di dilatarsi nelle atmosfere rarefatte della respirazione circolare. Da uno strabiliante violoncello elettrificato utilizzato “in modo quasi hendrixiano” (cito qui il sedicente carbonaro Andrea, conosciuto proprio durante questa serata), grazie all’utilizzo di almeno una decina tra pedaliere, distorsori ed effetti vari. E da una batteria monumentale. Paal è una macchina perfetta, un polmone inesauribile, impressionante. Un set superbo di circa un’ora e mezzo. Più due bis su insistita richiesta. Imperdibili.

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Danilo Gallo Dark Dry Tears Quartet: Recording Session all’Auditorium Parco della Musica di Roma

Lunedì 30 marzo l’appuntamento è al Teatro Studio dell’Auditorium. Mi è già capitato più volte di essere tra il pubblico presente in sala durante la registrazione di un live. E in seguito a qualcuna di queste circostanze, confesso che mi sono pure poi ritrovato a riascoltare l’incisione, nel tentativo di riconoscervi una delle mie tipiche e non sempre ortodosse manifestazioni d’approvazione. Ma non mi era mai successo, in tanti anni di militanza sul campo, di assistere ad una registrazione in studio. L’album sarà pubblicato in autunno dall’etichetta dello stesso Auditorium. Gallo saluta e ci spiega come funziona: “E’ un po’ strano -lo so- ma, ammesso che i pezzi che vi proporremo vi piacciano, non dovreste applaudire se non almeno cinque-dieci secondi dopo la conclusione di ogni brano”. Ed è vero, è strano l’effetto prodotto da questa piccola dilazione. Quella di Danilo è una scrittura estremamente curata. E’ lui a disegnare l’andamento e la cadenza di ogni pezzo, a definirne le cupe atmosfere, dichiarate fin dalla scelta del nome della formazione. I due Francesco (Bearzatti e Bigoni) si alternano all’uso di sax e clarini, tracciando le linee melodiche e le principali aperture di suono. Jim Black sostiene il tutto, con i suoi calibri perfetti, incastonato tra pannelli fonoassorbenti e una parete di plexiglass. In buona sostanza, un altro gran bel disco del nostro benamato Gallo Rojo.

Maro Colonna/Roberto Bellatalla/Fabrizio Spera al Circolo Arci Dal Verme a Roma

Mercoledì 8 aprile si torna dal Verme. Prima volta assoluta per questo trio. Il concerto è semplicemente strepitoso ed è senza dubbio, insieme all’appuntamento patavino coi Ballister, quello di cui conservo i ricordi più intensi, tra tutti quelli accumulati in questo mio mese di musica live. Marco è un funambolo, nel miglior senso possibile: ha padronanza assoluta degli strumenti (sax tenore e clarinetto basso in primis) e il suo è un linguaggio dotato di capacità espressive davvero notevoli oltreché di grande incisività. Roberto è una furia, il suo contrabbasso grida e incanta. Fabrizio è abilissimo nel sorreggere e legare il tutto. Fabrizio lo puoi chiamare sul serio Maestro. Set di meno di un’ora. Sbalorditivo l’impatto. Mi diverte ancora definirlo così, come ho fatto all’uscita: il miglior concerto di musica italiana da diversi anni a questa parte. O per dirla ancor meglio, come chiosa un simpatico tipo comodamente piazzato al centro della piccola sala: “Molto meglio de tanta artra roba!!”

Carla Bozulich e Godspeed You! Black Emperor all’Estragon di Bologna

Sabato 11 aprile, doppio concerto all’Estragon. Apre la Bozulich, con il suo miniset promozionale (è passato un anno dall’uscita di “Boy”). La Constellation Records l’ha mandata in supporto al tour europeo dei Godspeed e lei per l’occasione offre ai presenti una breve selezione di brani (troppo breve!), affiancata ora dalla band, ora dal chitarrista Adrián de Alfonso (in arte Don the Tiger), ora da Francesco Guerri al violoncello. Carla è sempre viscerale, vibrante. L’apice è rappresentato da due brani del secondo capitolo Evangelista: “Artificial Lamb” e “Bells ring Fire”, che chiude l’esibizione con una dedica emblematica: “This is for the guy next to you on the bus”.

I GY!BE propongono il solito set impeccabile. I loro suoni toccano qualcosa di profondamente personale. E vi si intrecciano in modo quasi ineluttabile. Eppure ogni volta che li ascolto dal vivo ho la sensazione che manchi sempre qualcosa. Anche se forse a mancare è semplicemente la prossima occasione di riascoltarli, di continuare questo dialogo. Rispetto a quando li ho sentiti quasi due anni fa al Paradiso di Amsterdam, senz’altro è venuta meno la possibilità di un fruizione più intima, più raccolta. Pare fossero circa 1.500 le persone presenti all’Estragon. Troppe, anche in ragione dell’indegna acustica del posto. Ed è certo, poi, che avrei voluto una “Sad Mafioso”. O un qualunque altro “classico” del loro passato. Almeno.

Oren Ambarchi & Massimo Pupillo alla Casa della Cultura di Villa De Sanctis

Mercoledì, prima serata della seconda parte dell’Handmad(e)s Festival. Sala piena oltre ogni ottimistica previsione per un concerto Drone/Noise senza alcuna concessione o compromesso. Oren per metà set seduto dietro la sua chitarra processata, per l’altra dietro le percussioni. Massimo quasi sempre ricurvo, quasi attorcigliato al suo basso. Pressione altissima, massima saturazione. Un unico, lento, inesorabile, flusso di magma. Grandissimi.

Testo e foto di Riccardo Ruggenini