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Doppler, l’anticonformista norvegese

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La copertina di "Doppler. Vita con l'alce" dello scrittore norvegese Erlend Loe

Parlando di letteratura scandinava, non c’è dubbio che il pensiero vada subito al grande scrittore finlandese Arto Paasilinna; per un’inconfondibile stile letterario impregnato di humor, per la capacità di caratterizzare al meglio i suoi personaggi e per le descrizioni ambientali dei paesaggi del Nord Europa che tratteggia nei suoi libri. Negli ultimi anni, tuttavia, in questo filone narrativo scandinavo s’è aggiunto senza dubbio il norvegese Erlend Loe (in foto) che ha ripreso molto della lezione di Paasilinna senza però rinunciare a un proprio stile letterario tanto graffiante quanto umoristico.

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Lo scrittore norvegese Erlend Loe

Ma chi è Erlend Loe? Nasce a Trondheim il 24 maggio 1969 e inizia a studiare materie cinematografiche e letteratura ma ben presto ripiega sulla professione di sceneggiatore e freelance. Debutta come scrittore nel 1993 con Preso da Lei anche se si afferma al grande pubblico con Naif.Super (Iperborea, 2002), proseguendo con Doppler. Vita con l’alce (Iperborea, 2007), Tutto sulla Finlandia (Iperborea, 2008), Volvo (Iperborea, 2010) e Saluti e baci da Mixing Part (Iperborea, 2012). Per la recensione del mese di febbraio di Daily Green, parleremo di Doppler. Vita con l’alce.

Doppler, l’anticonformista norvegese

La trama

Tutto ha inizio quando il benestante Andreas Doppler cade in maniera rovinosa dalla sua bicicletta ma, anziché arrecargli un danno, la botta presa si rivela provvidenziale. Egli s’accorge di aver vissuto senza vivere la propria vita, oppresso dal dover essere “bravo”; da studente ineccepibile a marito irreprensibile, da padre esemplare a cittadino modello: “Sono stato così maledettamente bravo. Ero bravo all’asilo. Ero bravo alle elementari. Ero bravo alle medie. Al liceo ero bravo da fare schifo, non solo negli studi, ma anche socialmente”. Ma dopo la caduta dalla bici nulla è più come prima, Doppler si sente rinsavito dalla “malattia” di condurre un’esistenza inquadrata dentro uno schema prefissato e si rifugia nel bosco vicino casa nel tentativo di stare solo, separandosi dalla propria famiglia, abbandonando il suo lavoro e allontanandosi dalla civiltà urbana perché la trova ormai intollerabile: “Non mi piace la gente. Non mi piace quello che fa. Non mi piace quello che è. Non mi piace quello che dice”. Finché un giorno, spinto dalla fame, uccide una femmina di alce ed è quasi costretto ad adottare il suo cucciolo rimasto orfano. Doppler si affeziona piano piano al piccolo animale, instaurando con lui un rapporto praticamente umano e gli dà il nome di Bongo.

Iniziano così tutta una serie di peripezie per il protagonista: dall’incontro con il signor Dusseldorf, alle prese con la costruzione di un plastico bellico che raffigura l’episodio della morte del padre tedesco durante la seconda guerra mondiale sul fronte delle Ardenne, alla conoscenza con Roger Ferro, uno scassinatore che si era introdotto di notte nella sua abitazione per rubare e che vive con una ragazza che gli permette di stare nudo in casa e di spruzzare di sperma i suoi libri, fino allo scontro con un tipo “di destra” che minaccia di segnalare la sua presenza nel bosco in quanto campeggiatore abusivo e con il quale c’è una radicale antitesi antropologica: “Non mi piace il suo modo di pensare, non mi piacciono i suoi vestiti, non mi piace il suo cane, e men che meno quel ghigno compiaciuto che ha sulle labbra. È un ghigno che può venire solo da un’immane sicurezza economica e da anni di voto a destra. E non solo non mi piace, ma proprio non lo sopporto”.

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La copertina dell’edizione norvegese di “Doppler. Vita con l’alce”

Ormai abbandonate le speranze di “convertire” la figlia più grande Nora, Doppler ripone tutte le sue aspettative di combattere la “bravura” nel figlio minore, Gregus, che egli porta con sé nella foresta e che disincentiva a imparare a leggere e scrivere. Proprio mentre sta pensando di innalzare un totem in memoria di suo padre, mai conosciuto abbastanza per la verità, Doppler riceve di nuovo la visita del tipo “di destra” pensando che voglia cacciarlo via dal bosco. Senza troppo indugiare, il protagonista lo ferisce colpendolo con una freccia ma, a sorpresa, il tipo “di destra” gli confida d’esser rimasto colpito da questo particolare stile di vita e gli comunica la sua volontà di andare a vivere nel bosco. Doppler capisce, tuttavia, che la sua oasi di pace e armonia sta per essere turbata da troppe presenze umane e decide, non appena completato il totem, di abbandonare la foresta in cerca di un posto più isolato dove andare a vivere insieme al figlio Gregus e a Bongo proprio mentre il tipo “di destra” è intento a celebrare un festival della fratellanza umana. Ma c’è un ultimo impedimento prima di poter levare le tende: la nascita del terzo figlio. Il cognato, infatti, lo preleva con forza dal bosco per portarlo in ospedale dove la moglie ha appena dato alla luce il loro terzogenito ma Doppler, non appena liberatosi dalla “prigionia” del parente, saluta moglie e figlia e fugge definitivamente in cerca di un posto dove poter vivere in serenità.

Loe, autore “politicamente” scorretto

In Doppler. Vita con l’alce sono presenti tutte le tematiche classiche della letteratura scandinava contemporanea: l’irresistibile attrazione della Natura sul protagonista sempre sotto forma di un animale, i paesaggi freddi ma accoglienti della Scandinavia (“il bosco […] è prevedibile e meno disorientante di quasi tutti gli altri posti […] il bosco ascolta e capisce”) e la particolare ironia utilizzata nelle pagine nel libro; uno humor sottile, molto spesso surreale ma che non scade mai nella grossolanità. Ma nelle pagine di Erlend Loe sono presenti anche accenni di forte critica verso la società norvegese, specie dove la sua attenzione si sofferma sull’elevato livello di benessere medio; una condizione di prosperità che ha generato un egoismo tanto spiccato quanto ipocrita che Loe riconduce, appunto, al tentativo dei norvegesi di essere sempre “bravi”.

Le sue potrebbero sembrare le parole di un estremista di sinistra visto che lo scrittore di Trondheim identifica questa condizione di benessere economico e sociale con la destra politica ma, al contrario, non c’è alcun accenno di ideologismo nelle pagine di Doppler. Tutt’al più, nella scelta del protagonista di andare a vivere nel bosco, si può parlare di una volontà pacifica del personaggio, di un suo rifiuto della generale prosperità senza alcun cenno di violenza, nel solo tentativo di recuperare un senso di sé stessi e del proprio essere umano. Anche la stampa internazionale ha ben accolto Doppler; ad esempio, Barry Forshaw nel The Indipendent del 5 dicembre 2012 sottolinea come “lo stile ingenuo del racconto non sarà certo valido per tutti i gusti e l’umorismo è di una tonalità estremamente individuale. Sembra l’immagine di un misantropo che lotta per condurre una vita solitaria ma la narrazione di Loe stabilisce rapidamente una presa insidiosa anche sui lettori che avevano inizialmente resistito al tema centrale del libro. L’eufemistica e, apparentemente, egoistica voce di Doppler diventa piuttosto coinvolgente e quando ci si accorge che la stravaganza è in realtà un zuccherino piuttosto amaro e l’esperienza della lettura del libro diventa un affare ancora più complesso di una semplice godimento delle sue assurdità”.