Home Focus Green economy, 50 mld di euro i “danni” dell’economia nera

Green economy, 50 mld di euro i “danni” dell’economia nera

SHARE

Ammontano a quasi 50 miliardi di euro all’anno i danni ambientali e sanitari delle attività di imprese e famiglie: è quanto emerge da uno studio sui costi esterni dei settori dell’economia italiana realizzato e illustrato dalla società di ricerca e consulenza economica ECBA Project, specializzata nell’analisi costi-benefici di progetti e politiche d’investimento, con una particolare attenzione verso le componenti ambientali e sociali.

I primi risultati dello studio sono stati pubblicati sul n. 5/2013 di Nuova Energia, rivista bimestrale dello sviluppo sostenibile, in un articolo che riporta integralmente la stima complessiva dei costi esterni ambientali per l’anno 2012 secondo un primo livello di disaggregazione dei settori dell’economia italiana (settori produttivi e famiglie) e che propone un insieme di indicatori, individuati con un approccio ECBA (Environmental Cost-
Benefit Analysis), finalizzato a fornire dati sistematici integrando le tre dimensioni principali dello sviluppo sostenibile: quella ambientale, sociale ed economico-finanziaria.

Green economy, 50 mld di euro i “danni” dell’economia nera

I costi esterni ambientali complessivamente calcolati da ECBA Project in relazione alle emissioni in atmosfera dell’economia nazionale nel 2012 ammontano a 48,3 miliardi di euro. Considerato che il PIL del 2012 è stato di 1.566 miliardi di euro ai prezzi correnti, e le esternalità complessive di imprese e famiglie pari a 48,3 miliardi, l’incidenza delle esternalità sul PIL è pari al 3,1%.

Il comparto con maggiori costi esterni ambientali è quello delle famiglie, con 15,2 miliardi di euro (31%), seguito dall’industria con 12,9 miliardi (27%), dall’agricoltura, silvicoltura e pesca con 10,9 miliardi (23%) e dai servizi con 9,4 miliardi (19%).

All’interno di queste macro-aree, si individuano e sottolineano i danni ambientali e sanitari dei veicoli di trasporto delle famiglie (7,8 miliardi), degli impianti di riscaldamento delle stesse (7,2 miliardi) e dell’industria manifatturiera (7,1 miliardi). Elevati anche i costi esterni dei servizi di trasporto e logistica (3,9 miliardi), del settore dell’energia elettrica e del gas (3,7 miliardi) e del commercio (3,1 miliardi).

Ma quali sono i fattori che incidono di più su queste stime e quali gli effetti su ambiente e salute?
Il 27% dei costi è dovuto ai gas ad effetto serra, ben il 72% ai principali inquinanti atmosferici e meno dell’1% alle emissioni di metalli pesanti. Il fattore di emissione più impattante è il particolato fine (PM2,5) con 17,1 miliardi di euro di costi esterni (35% deltotale), interamente ascrivibili ad effetti sanitari (per malattie respiratorie e mortalitàa lungo termine), seguito dall’anidride carbonica (CO2), principale responsabile dei cambiamenti climatici di origine antropogenica, con 11,2 miliardi di costi esterni (23%), e dagli ossidi di azoto (NOx) con 8,3 miliardi (17%). In quest’ultimo caso i costi esterni sono dovuti principalmente agli effetti sanitari associati alla formazione indotta di particolato secondario e, per la parte restante, agli effetti di riduzione della biodiversità dovuti al fenomeno dell’eutrofizzazione dei suoli, sempre attraverso le emissioni di NOx.

La principale innovazione di questa metodologia di analisi, spiega Andrea Molocchi, partner di ECBA Project e co-autore dello studio, “è di poter finalmente disporre di un indicatore che rapporta alla ricchezza creata da un’attività economica in un dato anno quella distrutta esternamente dalla stessa attività, e che quindi esprime anche l’efficienza di un’economia nella prevenzione dei danni ambientali: un indicatore unificante che finora è mancato nell’impostazione delle politiche, ambientali e di sviluppo”.

Donatello Aspromonte, partner di ECBA Project e co-autore dello studio, aggiunge: “Il primo obiettivo della valutazione dei costi esterni ambientali è proprio quello di misurarli. Poi ci sono tutte le applicazioni operative, come la politica fiscale in attuazione del principio “chi inquina paga”, la razionalizzazione dei sussidi e degli incentivi o le nuove forme di tariffazione dei trasporti. Ma la più importante è l’autonoma diffusione della valutazione delle esternalità nelle attività di mercato: già oggi molte imprese sono impegnate lungo un percorso di responsabilità sociale e anche stakeholders come banche e fondi d’investimento stanno capendo che la fiducia dei risparmiatori è riposta nei soggetti che hanno una politica di investimento responsabile, orientata ad uno sviluppo più sostenibile. Oggi valutare i costi esterni ambientali è un’esigenza imprescindibile: per le banche per essere attrattive, per le imprese per rimanere competitive”.