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La solitudine nelle poesie di Giovanna Fracassi

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Giovanna Fracassi
La poetessa Giovanna Fracassi parla del suo "Emma alle porte della solitudine"

Leggendo i dati delle ricerche Nielsen, non si può non notare come uno dei generi meno considerati dal mercato editoriale sia la poesia. Vendite limitate, pochi nomi nuovi alla ribalta e riproposizione continua di autori classici per mantenere un po’ di visibilità tra gli scaffali. Eppure, specie nel mondo dell’editoria indipendente, molti poeti continuano a coltivare l’abilità del “verseggiare”, segno che questo genere continua a coinvolgere gli animi e a “tormentare” le sensibilità letterarie. Daily Green ha intervistato la poetessa vicentina Giovanna Fracassi per parlare più approfonditamente delle sue opere e delle sue tematiche preferite.

Giovanna Fracassi e il concetto di solitudine nella sua poetica

Giovanna, se dovessi descriverti in poche righe cosa diresti di te?

Preferisco non descrivermi perché penso che debba essere un piacere di chi mi legge scoprirmi nei miei temi, negli argomenti che tratto, nella mia tecnica di scrittura. Qualsiasi definizione o descrizione che potrei dare di me stessa sarebbe comunque parziale perché davvero molto vasto è l’orizzonte entro il quale preferisco muovermi. Parto da un elemento della natura e sviscero sentimenti, riflessioni che si ampliano toccando le domande che da sempre ogni uomo si pone sulla propria esistenza, sul proprio dolore, sul male di vivere che spesso lo attanaglia, sul senso da dare a tutto questo suo viaggiare dal nulla verso il nulla che sgomenta ma, al tempo stesso, affascina irresistibilmente. Di me posso dire che sono sempre in viaggio, perché non posso fermarmi su nessuna verità. Né su quella di Giovanna Fracassi né di altri.

Giovanna, dopo Arabesques (2012), Opalescenze (2013), La cenere del tempo (2014), ora Emma alle porte della solitudine (2015), tutti editi con la casa editrice Rupe Mutevole. C’è un filo rosso che lega tutte le tue pubblicazioni, Giovanna?

Esiste certamente una linea di sviluppo tra Arabesques e tutte le mie altre sillogi. I temi di fondo sono sostanzialmente gli stessi ma sviscerati, approfonditi, illuminati e tratteggiati in modo diverso, con un’attenzione sempre più accurata sul lessico. Cerco di non ripetermi e di non usare immagini già abbondantemente presenti nel panorama poetico attuale anche se mi rendo conto che questa mia ricerca mi porta a scrivere in un modo non immediatamente comprensibile ai più.

Chi legge le mie poesie è indotto a doverci riflettere, a dover analizzare i versi per coglierne appieno il significato, i rimandi alla mitologia, alle correnti filosofiche, alla storia e alla religione. In questo senso non credo che la mia produzione sia di facile e immediata lettura. Questo è proprio ciò che mi differenzia da tanti altri poeti. Credo sia la mia caratteristica saliente. Ho iniziato a pubblicare con la casa editrice Rupe Mutevole e vi ho incontrato professionisti non solo capaci ma anche tanto entusiasmo e voglia di crescere e migliorare, senza mai ritenersi arrivati. Sono stata seguita sempre con sollecitudine, ricevendo stimoli, suggerimenti che mi hanno aiutata e sorretta in ogni mia pubblicazione.

Soffermiamoci un momento sul tuo ultimo lavoro, Giovanna. Si capisce già dai primi versi che la costante del libro è la solitudine declinata come tratto caratteristico dell’essere umano. Tutto sembra perso, smarrito e indefinito. Eppure, al fondo, c’è la speranza in Giovanna Fracassi…

La solitudine di cui tratto è la solitudine esistenziale, alla quale ritengo l’uomo non possa sfuggire nonostante la sua costante ricerca di alleviare questa ineludibile sensazione. Ecco quindi i vari tentativi per superare questa sensazione, la ricerca spesso spasmodica di trovare in un altro da sé, la possibilità di non percepirsi nella propria nudità esistenziale. Spesso questi tentativi portano alla delusione e alla separazione, alla lacerazione da quelle persone o da quelle situazioni in cui si credeva d’aver trovato una risposta, mentre si tratta solo di una pausa, una sosta nella nostra ricerca, nel nostro viaggio. Tutto questo, però, non ha alcuna connotazione pessimista, non deve portare alla disperazione. Al contrario, dovrebbe essere ciò che fornisce un senso al nostro vivere, al nostro innato bisogno di aprirci all’altro, di occuparcene, di averne cura. Su queste basi si fonda la nostra socialità, il nostro senso di appartenenza a una famiglia, a un gruppo, a una società, a uno Stato. La speranza non è da me intesa nella sua valenza consolatoria o come generico afflato verso un futuro migliore; trovo che questa accezione sia limitativa. La speranza è insita nella vita stessa: togliere a un uomo la speranza è come ucciderlo, bruciarne il germe vitale interiore. Aver speranza deve spronare l’individuo a cercare le soluzioni, le risposte e soprattutto spingerlo all’azione. Diversamente è un acquietarsi passivo sulla propria esistenza, un affidarsi a qualcosa o qualcuno altro da noi stessi.

Giovanna, mi sembra di capire che le tematiche ricorrenti nei tuoi componimenti poetici sono la mancanza, la nostalgia, la solitudine; sentimenti che toccano l’essenza più profonda dell’essere umano. Ma tutti si possono tradurre con una sola parola: il dolore. È davvero così per Giovanna Fracassi?

Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emotiva assai composita. A esso possiamo ricondurre tutti quegli stati d’animo che attraversano spesso i nostri giorni: l’inquietudine, l’ansia, la mancanza, l’assenza, la nostalgia struggente, il senso di abbandono, la tristezza e il male di vivere, come pure la sofferenza fisica e psichica, la malattia e il lutto. La nostra vita è attraversata da molti momenti di dolore. Da ciò la necessità, il desiderio imprescindibile, la tensione vitale che ci spingono a cercare e a sperimentare la serenità, la gioia, l’allegria come anche la condivisione delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti con chi ci è più vicino. Non sapremmo godere della salute, dell’amore, in tutte le sue accezioni, di tutto ciò che di bello ci circonda, non troveremmo l’entusiasmo con cui affrontiamo le sfide continue al nostro intelletto e al nostro impegno nel lavoro e nella società se non conoscessimo così spesso situazioni e sensazioni dolorose. Direi che il dolore ci mette in grado di apprezzare tutti i momenti in cui è assente e, allo stesso tempo, ci spinge a impegnarci, a lottare per superarlo, per vincerlo. In questo senso credo sia ormai chiaro che i miei temi, come appunto la solitudine e il dolore, non implichino affatto una visione pessimistica della vita ma siano piuttosto da interpretarsi come viatici per una vita più consapevole nella sua pienezza e nella sua articolazione e come strumenti della tensione al miglioramento che ognuno auspica per sé e per gli altri.

Giovanna, hai già in mente un nuovo lavoro per il prossimo futuro?

Ho molti progetti per il futuro. Senz’altro un’altra silloge perché l’evoluzione di Giovanna Fracassi come poetessa è ancora in divenire. Inoltre vorrei cimentarmi nella prosa, per ampliare le mie capacità espressive, pertanto ho iniziato a scrivere una raccolta di racconti brevi. È molto diverso scrivere un testo poetico da un qualsiasi altro genere letterario perché vi è la necessità, almeno per me, di sintetizzare un concetto in pochi versi trovando le metafore e le similitudini più efficaci per tradurlo in immagini che sappiano coinvolgere e guidare il lettore all’interno del caleidoscopio delle mie riflessioni. Mi solletica quindi l’idea di riuscire a fare qualcosa di simile con un altro tipo di testo. Non escludo infine, la possibilità di collaborare con altri scrittori per realizzare alcuni progetti molto particolari. Concludendo, posso dire di avere ancora molto da scoprire, da imparare e da scrivere.