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Livio Berruti, miope e velocissimo

Il 3 settembre 1960 le strade delle città italiane sono deserte. La televisione trasmette in diretta le principali gare dell’Olimpiade di Roma.

L’occhialuto studente torinese

Tutta Italia è davanti al televisore per assistere, nella gara dei 200 metri, all’impresa di un occhialuto studente torinese che risponde al nome di Livio Berruti. In semifinale ha eguagliato il record del mondo facendo fermare i cronometri sul tempo di 20”5 dando l’impressione di aver volutamente rallentato la sua corsa negli ultimi metri e nelle due ore che precedono la disputa della finale si rilassa leggiucchiando il libro dell’esame di chimica e bevendo lunghe sorsate di acqua e limone. Sulla linea di partenza ci sono ben quattro primatisti mondiali, tutti con lo stesso tempo: il francese Seye, lo statunitense Carney, il polacco Foyk e Berruti.

Caviglie robuste

La prima partenza non è valida. Uno dei due atleti scattati in anticipo è proprio l’italiano. L’incidente, però, non riesce a scalfire la sua tranquillità. Allo sparo scatta potente e, dopo aver resistito alla rimonta di Carney, è primo eguagliando ancora il record mondiale di 20”5. Non perde la calma neppure dopo la conquista dell’oro olimpico e risponde educatamente in inglese alle domande dei giornalisti. A chi gli chiede qual è il segreto della sua corsa, così fluida ed elegante risponde: “La robustezza delle mie caviglie, temprate in ore di pattinaggio e di tennis“.

 

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