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L’ultimo “mohicano” dell’editoria: Giulio Einaudi

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Einaudi
L'editore Giulio Einaudi in una foto degli anni '90.

Giulio Einaudi (1912-1999) ha rappresentato, nel panorama della cultura italiana del XX secolo, l’ultimo grande “editore protagonista”, un personaggio capace, come ha sottolineato Roberto Calasso di Adelphi, di poter stare insieme “con editori di tutti i Paesi di riconosciuto lignaggio, differenti tra loro, ma ancorati tutti all’idea di una cultura nutrice, con i suoi saperi, della vita dell’uomo, che non ha nulla a che fare con le idee della maggior parte degli editori nostrani, omologati, privi di una propria identità, preoccupati solo della contabilità”.

Einaudi, editore protagonista

I primi anni

Figlio di Luigi Einaudi, studiò al prestigioso Ginnasio di Torino Massimo d’Azeglio dove conobbe alcuni tra i futuri protagonisti della cultura italiana come Cesare Pavese, Norberto Bobbio, Fernanda Pivano e Ludovico Geymonat. Nel 1933 fondò l’omonima casa editrice e cinque anni dopo sposò Clelia Grignolio. Con la fine della seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica, Einaudi rappresentò, con le sue pubblicazioni, un filone importante della rinascita della cultura in Italia dopo gli anni del regime e della censura fascista. Soprannominato “il divo Giulio”, “il Principe” e “il Re Sole” dell’editoria italiana, Einaudi caratterizzò la professione dell’editore con uno stile di lavoro intriso di abilità, autorità e una buona dose di snobismo culturale che lo rese particolarmente celebre. Si spense il 5 aprile 1999 a Poggio Sommavilla (Rieti) e da allora riposa nel cimitero di Dogliani.

Dalla censura fascista alla crisi degli anni settanta

Durante gli anni del regime mussoliniano, la Einaudi fu continuamente sottoposta a condizionamenti, censure e sequestri anche se tutto ciò non impedì la nascita di importanti collane di saggistica, di scienza e di letteratura come Poeti e Narratori contemporanei. Nel frattempo, al progetto della casa editrice aderivano numerosi intellettuali e personalità della cultura come Ginzburg, Pintor, Muscetta, Pavese e, successivamente, Felice Balbo, Franco Venturi, Norberto Bobbio, Elio Vittorini, Italo Calvino, Antonio Giolitti e Delio Cantimori. Come scrive Gian Carlo Ferretti, si era formato un vero e proprio direttorio il quale “aveva un ruolo di discussione, progettazione, ricerca, e anche decisione […]

Einaudi veniva così costruendo una casa-laboratorio sul lavoro di quel formidabile ‘cervello collettivo’, conflittuale e insieme coeso: dove tutti si occupavano di tutto, in un continuo scambio di testi e di valutazioni, all’interno e di là dalle discipline e competenze di ciascuno. Figura di un editore che, anche nel suo ruolo di amministratore delegato e/o di presidente, era insieme primus inter pares democratico e conduttore determinato”. Con la fine del secondo conflitto mondiale, l’attività della Einaudi riprese a pieno ritmo e veniva formandosi un catalogo particolarmente ricco soprattutto per un approccio volto alla ricerca di “originalità” e del “nuovo”, con la spiccata tendenza a tentare di sprovincializzare la cultura italiana. Venivano così pubblicati autori come Carl Gustav Jung, James G. Frazer, Karl Kerényi e Mircea Eliade insieme a scrittori italiani del calibro di Beppe Fenoglio, Mario Tobino, Giovanni Arpino, Leonardo Sciascia, Mario Rigoni Stern e Giovanni Testori.

Le nuove riviste di Einaudi

Vedevano la luce riviste come Il Politecnico e Società, nascevano i Coralli, collana ideata e diretta da Cesare Pavese e nei Saggi trovavano spazio Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi e Se questo è un uomo di Primo Levi. Tuttavia, sottolinea sempre Ferretti, “si manifestava quella che sarebbe stata una costante della storia einaudiana: la specularità tra ricchezza del catalogo e precarietà finanziaria, con uno squilibrio tra ambizioni e capitali, sconfinamenti economici e situazione debitoria”. A metà degli anni Cinquanta, infatti, si rese necessaria una delicata operazione di salvataggio della casa editrice, tramite una vasta sottoscrizione, in cui ebbero parte importante Raffaele Mattioli ed Erich Linder. I tempi stavano cambiando: la crescita economica degli anni ’60, i nuovi conflitti sociali e le avanguardie intellettuali fecero sorgere nel nostro Paese esigenze culturali ed editoriali di maggiore spessore rispetto al passato. In questo periodo, Einaudi lanciava importanti romanzi italiani come La ragazza di Bube di Carlo Cassola (1960) e Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani (1962) mentre, sul fronte estero, dava spazio a scrittori come Jorge Luis Borges, Dylan Thomas, Marguerite Yourcenar, Jerome Salinger e Aleksandr Solženicyn.

Einaudi
Einaudi e Calvino durante una riunione di redazione

Pur pubblicando opere destinate a incidere nella storia dell’editoria letteraria italiana, Einaudi vedeva un sostanziale indebolimento delle sue posizioni rispetto a competitors come Mondadori a Feltrinelli. Ciò dipese, da un lato, dalle continue crisi finanziarie e di bilancio della casa editrice e, dall’altro, dalla diminuita ricerca di autori italiani e stranieri (con le eccezioni di Rosetta Loy e Andrea De Carlo) nel campo della narrativa e da una generale carenza di progettualità nel settore della saggistica. Questi, però, furono anche gli anni del varo delle Centopagine di Italo Calvino, collana dove il grande scrittore ospitò tutta una serie di opere brevi di autori come Balzac, Conrad, Stevenson e Iginio Ugo Tarchetti.

L’editoria italiana cambia pelle: dagli anni ’70 agli anni ’90

Come mette sempre bene in evidenza Ferretti, “gli anni Settanta furono caratterizzati da una profonda trasformazione, per il passaggio dagli ‘editori protagonisti’ all’apparato e cioè dagli editori-imprenditori con una ben definita identità e personalizzazione della produzione a una sorta di ‘dio ascoso’ con un tendenziale appiattimento delle differenze: passaggio coincidente con l’ingresso del capitale extraeditoriale nell’editoria libraria e con un irreversibile processo di concentrazione”.

Sono anni in cui il publisher torinese conosce una crisi economica e identitaria dalla quale si riavrà solo in parte. Giulio Einaudi, infatti, s’imbarcherà in operazioni editoriali tanto grandi e imponenti sotto il profilo culturale e scientifico (le famose “grandi opere” come la Storia d’Italia di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, l’Enciclopedia sempre di Romano, la Storia dell’arte italiana di Giovanni Previtali e Federico Zeri e la Letteratura italiana di Alberto Asor Rosa) quanto fragili e insostenibili da un punto di vista finanziario e commerciale aggravando in tale maniera i conti della casa editrice e portandola al definitivo tracollo economico. Commissariata nel 1984, acquisita dall’Electa nel 1989 e dal gruppo Elemond (Electa e Mondadori) nel 1991, la Einaudi stava cercando, a cavallo degli anni ’90, di superare la grave situazione debitoria e di rilanciarsi sul mercato editoriale italiano; soprattutto nei Nuovi Coralli, nei Supercoralli e nei Coralli Nuova serie vennero pubblicati Álvaro Mutis, Alejo Carpentier, Abraham B. Yehoshua, Don De Lillo, José Saramago, Tahar Ben Jelloun e, tra gli italiani, Daniele Del Giudice, Marco Lodoli, Marcello Fois e Vincenzo Cerami.

Einaudi e le sue sperimentazioni editoriali

Nel frattempo, Einaudi sperimentava nuove soluzioni editoriali, la più originale delle quali fu senza dubbio Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano di Gino e Michele (1991) mentre si mostrava aperto a contaminazioni culturali (libri con CD e videocassette) ormai rese necessarie dallo sviluppo della tecnologia e della rete Internet. Nacquero così i Monologhi & Gag di Roberto Benigni, il noir-horror di Carlo Lucarelli, i fumetti di Andrea Pazienza e lo spettacolo Vajont di Marco Paolini. La vitalità della Einaudi si dispiegò anche con l’iniziativa di Stile libero, “una collana ‘d’avanguardia’ […] ben inserita nel mercato (soprattutto giovanile, ma non soltanto), che riprendeva con spregiudicatezza due ‘storici’ criteri einaudiani come lo sperimentalismo e la commistione”(Ferretti).

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Einaudi davanti al logo della sua casa editrice

Elementi che hanno sempre costituito, in ultima analisi, l’identità culturale della casa editrice Einaudi, un autentico laboratorio culturale in grado di innalzare il livello della cultura italiana a una dimensione propriamente internazionale. In questa maniera, scrive sempre Ferretti, Giulio Einaudi “riuscì a realizzare una grande casa editrice, a mantenerne l’identità e a conquistare un fedele lettore, attraverso fasi storiche contrastate, dal fascismo alla guerra al dopoguerra, e attraverso profonde trasformazioni dell’editoria, dall’artigianato all’industria, assimilando redattori e consulenti di prim’ordine scelti con la sicurezza del grande imprenditore e collocando ogni acquisizione di nuovi autori in una linea di complessa continuità, con lunghe appartenenze”.

Foto copertina tratta dal sito www.doppiozero.com