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Saverio Di Biagio: «Questa crisi ci ha posto di fronte ai nostri limiti»

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Saverio Di Biagio

Saverio Di Biagio, classe 1970, regista del film Qualche nuvola, presentato al Festival del Cinema di Venezia nella sezione Controcampo, dal 27 giugno nelle sale cinematografiche.

Saverio, il film è stato descritto come una commedia sentimentale che tratta di amori e tradimenti. Ma è anche una commedia sociale.

Qualche Nuvola è indubbiamente figlio della commedia sentimentale con una forte connotazione sociale. Raccontando il tradimento ho rappresentato la contrapposizione che ancora esiste tra ceto borghese e borgata, operai e datori di lavoro. Volevo descrivere un mondo poco rappresentato nel nostro cinema, quello della borgata che quando c’è è spesso legato a stereotipi negativi. La periferia non è solo espressione di malavita. Diego il protagonista è un ragazzo normale alle prese con i problemi della vita di tutti i giorni. Che ad un certo punto incontra Viola, una ragazza che appartiene ad un mondo distante dal suo, quello della borghesia appunto, da cui resta affascinato.

Pensi esista ancora questa forte distinzione tra contesti sociali differenti? Non credi che la diffusione della cultura contribuisca all’incontro tra questi ambienti?
A qualcuno piace pensare che la differenza tra classi sociali appartenga al passato ma non è così. Anzi, la crisi economica che stiamo vivendo accentuerà sempre di più la distanza tra le classi. E’ vero l’accesso alla cultura è per molti ma non per tutti, non è ancora un accesso democratico. La cultura “superiore” non è accessibile a tutti. Basti pensare ai licei per esempio, che si trovano ancora nel centro della città mentre le periferie ne sono spesso e volentieri sprovviste.

Diego il personaggio protagonista del tuo film è un muratore. Perché questa scelta?
Perché per me quello del muratore è un mestiere umile ma nobile per eccellenza con una forte componente romantica. Diego è orgoglioso del lavoro che fa. Questo tipo di lavoro agisce nell’ambito di un diritto fondamentale: la casa. La casa come nido, con una sua storia e un forte significato familiare e sociale. Almeno i miei muratori, nel film, la pensano così.

Tuo padre faceva il muratore. C’è qualcosa di autobiografico nel tuo film?
Il film non è autobiografico ma i personaggi che rappresento in un certo senso lo sono o quantomeno mi somigliano, fanno parte di un mondo che conosco bene. La mia fuga dalla periferia romana verso il centro per inseguire la mia passione artistica, l’amore per il teatro e il cinema è simile alla fuga di Diego verso il mondo rappresentato da Viola. Mio padre faceva questo lavoro per passione, con amore e cura. Valori che mi ha trasmesso e che io spero di trasmettere agli altri. Ha costruito lui la nostra casa, quella dove ho passato gran parte della mia vita. Mia mamma era casalinga. Una famiglia semplice dove la condivisione era tutto. Il non riuscire a condividere con gli altri quel che si aveva era visto come un fallimento.

La zona dove sei cresciuto, Morena alla periferia di Roma, è nata negli ’60 grazie ad operai occupati nell’edilizia che hanno acquistato lotti di terreno per costruire le loro prime abitazioni.
Sì, è vero. E’ un quartiere a sud di Roma nato grazie all’iniziativa di privati. Oggi la mia borgata, un tempo abusiva, è diventata un quartiere residenziale. Credo che quando le persone costruiscono una casa per le loro famiglie non creano mostri edilizi mentre l’abusivismo, quello senz’anima, legato alla speculazione, sì.

Il tuo film è ambientato al Quadraro, altro quartiere della periferia romana. Pensavi fosse funzionale alla storia, è una scelta puramente estetica o semplicemente è un quartiere a cui sei affezionato?
L’ho scelto perché i miei personaggi in quel contesto sono credibili. Il contrasto con il centro della città è ancora sensibile. Dalla parte di Largo Spartaco c’è la giusta commistione tra pop, estetica e vitalità. Se ad esempio avessi usato il Pigneto (ex periferia romana oggi considerata mondana, ndr) non si sarebbe apprezzata la differenza. Penso che il Quadraro abbia un suo carattere, non è la periferia senza personalità frutto di speculazione edilizia.

Le cose sembra stiano cambiando, si parla di costruzioni ecosostenibili. C’è un’attenzione sempre maggiore alla ristrutturazione, al ripristino di edifici già esistenti. Non credi?
Lo spero. Penso che prima di buttare giù una casa, con una sua storia bisognerebbe riflettere. Ecomostri a parte, un’abitazione è custode di un passato importante. Siamo stati abituati a buttare via le cose che non funzionano più ma questa crisi ci ha posto di fronte ai nostri limiti. Basterebbe fare un passo indietro come il personaggio di Giorgio Colangeli, Umberto, il padre della protagonista, che nel film ripara vecchi oggetti. Ad un certo punto dice: “Riparo le cose perché sono stufo di comprarle”.

La storia di questo film è singolare, Saverio. La sceneggiatura, finalista del Premio Solinas, risale al 2004. Il film è stato girato soltanto nel 2010 e finalmente nel 2011 presentato al Festival di Venezia nella Sezione Controcampo. I tempi di lavorazione, sappiamo, sono stati al contrario molto brevi.
Sì, in effetti il film è stato girato in soli 28 giorni. Per la fotografia mi sono affidato a Francesco Di Giacomo con cui collaboro da sempre e con cui ho un grande feeling. Questo mi ha dato la possibilità di concentrarmi molto sul lavoro degli attori al contrario di quello che succede la maggior parte delle volte. Spesso si è più preoccupati della costruzione di una scena piuttosto che della recitazione vera e propria. Molti registi sono alla ricerca di inquadrature pazzesche trascurando gli attori che si ritrovano a volte smarriti.

Un dettaglio non da poco. Un tempo così breve nella realizzazione di un film vuol dire anche un grosso risparmio energetico.
E’ vero, non ci avevo pensato in questi termini. E’ stato un duro lavoro, possibile grazie alla professionalità di tutto il cast tecnico e artistico. Sicuramente il fatto di girare in location reali e non costruite in studio ha determinato un risparmio di legno e quindi di alberi.

La campagna virale di Qualche nuvola può essere considerata in qualche modo “ecologica”?
Sì, noi abbiamo chiesto tramite Facebook ad amici e simpatizzanti di inviarci delle loro fotografie che ritraessero anche solo una nuvola. Tutti in fondo abbiamo una foto con delle nuvole. Un modo per avvicinare le persone senza spreco di carta, locandine, etc.