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Steve Jobs, fu vera gloria?

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Uno dei famosi manifesti pubblicitari della Apple con Steve Jobs

“Nessuno merita di dover morire […] nemmeno le persone colpevoli di mali peggiori dei loro. Ma tutti ci meritiamo la fine dell’influenza maligna di Jobs sul computing. Purtroppo, quell’influenza continua nonostante la sua assenza. Possiamo solo sperare che i suoi successori, nel proseguirne l’eredità, siano meno efficaci”. A dichiararlo, pochi giorni dopo la scomparsa del fondatore di Apple, fu Richard Stallman della Free Software Foundation. Senza dubbio un giudizio duro che, tuttavia, riflette l’importanza di uno dei personaggi più noti a cavallo del XXI secolo e lo stesso film uscito recentemente nelle sale italiane (con Ashton Kutcher nei panni del guru di Cupertino) ha evidenziato i lati più controversi di Steve Jobs.

Jobs, la vita di un genio

Steve Jobs e i media

Uno degli aspetti più studiati ma allo stesso tempo meno criticati dello stile Jobs è stata la sua capacità di relazionarsi con i media, il suo particolare carisma comunicativo tramite il quale faceva percepire come necessario per il pubblico ogni prodotto della Apple, come un qualcosa che non poteva mancare nel “bagagliaio” di ogni suo cliente. Alcuni anni fa (2009) è uscito per i tipi di Bevivino editore, un libro a cura di Giacomix, un gruppo di ricercatori attenti alle nuove tecnologie e al web 2.0, che aveva tra i suoi temi portanti proprio la capacità comunicativa del guru di Cupertino: “Qualunque organo di stampa, qualsiasi opinionista, gli stessi concorrenti dimostrano nei suoi confronti una sorta di timore reverenziale che li porta ad alimentare il mito legato al marchio della Mela. Steve Jobs non è semplicemente uno scaltro imprenditore o uno dei tanti piccoli geni in grado di offrire al mondo macchine strabilianti. Il mago californiano è riuscito a trasformarsi in qualcosa di più e di diverso cucendosi addosso un ruolo che gli ha permesso di attraversare il successo mantenendo un’immagine immacolata”.

Gli inizi della carriera

Steve Jobs nasce il 24 febbraio 1955 a Green Bay in California e fu allevato da Paul e Clara Jobs. Dopo essersi diplomato, si iscrisse al Reed College di Portland per studiare informatica ma abbandonò presto l’Università. In questo periodo frequentò un corso di calligrafia che gli risulterà utilissimo anni dopo quando, lavorando sul progetto Macintosh, adotterà stili e caratteri particolarmente evoluti per un computer mentre il suo primo lavoro fu in Atari come programmatore di videogames. Nel 1974 Jobs coinvolse l’ex compagno di liceo Steve Wozniak nel suo progetto e il 1 aprile 1976 fondarono la Apple Computer. Apple I fu il primo modello prodotto e Jobs fiutò subito l’affare del mercato dei computer: “Steve comprende immediatamente come trasformare le potenzialità in un formidabile strumento di marketing: chi riesce a comunicare la propria genialità troverà sempre qualcuno disposto a finanziarlo. E la genialità, come Jobs impara presto, si misura in dollari. Una promessa geniale in cambio di finanziamenti, la genialità della promessa confermata dai ricavi”.

Fu proprio questa la molla con cui convinse Mike Markkula, un dirigente della Intel, a finanziare la neonata Apple con una liquidità immediata di 92mila dollari e con un prestito bancario di 250mila dollari. Anche qui, Jobs rivela un talento imprenditoriale unico: “Oltre ad affidarsi a Markkula per trattare con i giganti degli ambienti finanziari, Jobs interiorizza rapidamente le dinamiche del mondo degli affari e le applica in Apple, facendo pesare il suo doppio ruolo di presidente della società e supervisore dei progetti. Da questo momento, lo Steve che si muove per i corridoi della sede Apple non è più un simpatico fricchettone con i capelli lunghi, ma uno spietato affarista, con i capelli lunghi, che non disdegna di ricorrere a ricatti, menzogne e giochi di potere pur di orientare i progetti nel senso da lui preferito”.

Apple si afferma sul mercato dei computer

Ma Apple computer è ancora lungi dal divenire un’azienda competitiva sul mercato ed è a quel punto che Jobs comprende la necessità di assumere un manager che sappia gestire i complessi rapporti interni all’impresa lasciandolo così libero di interpretare al meglio la figura di “animale comunicativo” all’esterno.

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L’ex CEO di Apple John Sculley

A tale scopo, ingaggiò l’allora presidente di Pepsi John Sculley (in foto) avendo così la libertà di dedicarsi al progetto Macintosh sia dal punto di vista operativo e sia dal punto di vista della campagna pubblicitaria: “Per il lancio del nuovo prodotto, Apple assolda le migliori agenzie pubblicitarie e realizza una campagna sensazionale. Giocando sull’avvicendarsi del capodanno 1984, lo spot ideato per il lancio del Macintosh cita l’omonimo capolavoro di George Orwell e vanta la regia di Ridley Scott, autore dell’intramontabile ‘Blade Runner’ […] con la trovata di 1984, Jobs incastra un altro tassello nell’immagine di Apple che si garantisce il ruolo di azienda fuori dal coro, impegnata in una sorta di crociata in nome della libertà d’espressione”. E qui gli autori del libro evidenziano uno dei lati più interessanti della strategia comunicativa messa in piedi da Steve Jobs: “Il macchista abbraccia l’idea di far parte di un’élite e si vanta di appartenere a un culto laico basato sul buon gusto, l’innovazione e la creatività […] la casa di Cupertino non vende più computer, ma un’identità da spendere nei confronti di chi ci circonda. Uno strumento di affermazione. Un documento che garantisce la non omologazione. Uno straordinario certificato di individualità che cattura l’immaginario dei potenziali clienti”. Ma non sono tutte rose e fiori per il guru di Cupertino. Cominciano i primi problemi interni all’azienda soprattutto dopo l’insuccesso di Apple III ed esplodono gli attriti con John Sculley che rimprovera a Jobs la poca attenzione verso i clienti della Apple. Il culmine della crisi si raggiunge con le dimissioni di Jobs il 17 settembre 1985, squarciando un primo velo sulle dinamiche lavorative e relazionali dentro Apple: “Percepito dall’opinione pubblica e dal mondo degli affari come un tecnico brillante e un dinamico sognatore, il tiranno di Apple viene invece spesso descritto dai suoi colleghi come un egocentrico opportunista, capace di mettere in atto qualsiasi tipo di ricatto pur di ottenere ciò che desidera”.

Caduta e ritorno di Jobs alla guida di Apple

Licenziato dall’azienda che aveva fondato; una brutta mazzata per Jobs che passa un periodo di smarrimento e sconforto. Fonda la NeXT Computer avendo come obiettivo quello di realizzare una vera e propria rivoluzione tecnologica e, nello stesso periodo, acquisisce anche la Pixar dalla LucasFilms. Sono operazioni che non procedono per il verso giusto e il guru di Cupertino sembra aver perso il suo tocco magico. NeXT produce computer all’avanguardia ma eccessivamente costosi per il pubblico mentre la Pixar solo nel 1995 si affermerà con il lungometraggio “Toy Story”.

Ma il 1995 è anche l’anno della crisi di Apple e il nuovo CEO Gil Amelio cerca di correre ai ripari richiamando proprio Steve Jobs come consulente dell’azienda. Il problema principale era rappresentato dal sistema operativo Mac OS, ormai superato sul mercato e la necessità non più rimandabile era costituita dall’acquisire una software house che avesse un OS moderno da adattare ai PC di Apple. Jobs fece pressioni per acquisire NeXT e il NeXTstep diventerà in seguito il sistema operativo delle macchine Apple. La stessa comunicazione dell’azienda di Cupertino subisce un mutamento importante e proprio in quel periodo il guru californiano tira fuori il coniglio dal cilindro: “Jobs conia uno slogan che esprime direttamente la filosofia Apple che vuole trasmettere all’esterno: ‘Think different’. Le dimensioni ridotte della comunità Mac diventano l’ennesimo elemento di marketing. Chi acquista Mac non è solo creativo, ma è ‘un individuo che sfugge all’omologazione imposta dai cattivi IBM-Microsoft'”.

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Mohamed Alì in un manifesto pubblicitario della Apple del 1997

Intanto Jobs riprende in mano le redini della Apple diventando CEO ad interim al posto di Gil Amelio. Lo scorcio temporale di fine secolo è anche il periodo in cui Internet comincia a diventare uno strumento di massa, utilizzato da professionisti, studenti, ricercatori e semplici utenti per ricerche e approfondimenti. E qui viene evidenziato il lato più propriamente affaristico di Jobs: “Quando Internet si affaccia sul palcoscenico mondiale, il guru di casa Apple si lascia ancora una volta fuorviare dalla sua ingordigia, considerando il web come un ennesimo strumento per sfornare prodotti e macinare utili […] Vista con gli occhi di questa filosofia, la storia di Apple perde buona parte del suo charme e diventa qualcosa di molto più convenzionale: una società che produce computer alla moda”. Ma lo sviluppo della Rete apre nuove possibilità e nuovi mercati. In quegli anni nasce Napster e il sistema di filesharing musicale si diffonde in tutto il mondo causando grossi danni economici specie alle case discografiche. Ma chi coglie l’opportunità al volo è, neanche a dirlo, proprio Steve Jobs: “Vendere musica online significa fare a meno dei cd, eliminare i costi di stampa delle copertine e di trasporto, liberarsi dei costi legati alla gestione dei negozi e degli impiegati addetti alla vendita. Chi riuscirà a trasformare tutto questo in un vero mercato potrà fare profitti da favola […] qualcuno come Steve Jobs”. Nel 2001 quando Apple lancia l’iPod, si sviluppa definitivamente il mercato dell’eCommerce musicale e nasce anche iTunes un software dove comprare e scaricare musica digitale. Sono profitti da capogiro, così come quelli che vennero con la produzione dell’iBook (2004), il MacBook (2005), l’iPhone (2007) e l’iPad (2010).

Gli ultimi anni

Ma, contestualmente alla ripresa sul mercato del marchio Apple, in questi anni si aggrava la situazione di salute di Jobs. Già nel 2004 aveva subito un intervento chirurgico che l’allontanò momentaneamente dalla guida di Apple. Ma il cancro non l’aveva lasciato in pace e nel 2008 le quotazioni di Apple calarono pesantemente in quanto si diffusero notizie sul peggioramento dello stato di salute del suo fondatore. La preoccupazione degli investitori non era tanto legata alla solidità dell’azienda quanto alla convinzione che il successo di Apple fosse indissolubilmente legato a Steve Jobs. E proprio qui si ferma la narrazione di Giacomix mentre quello che accadde dopo è storia nota al grande pubblico, dal trapianto di fegato nel 2009 al passaggio di testimone della guida di Apple nelle mani di Tim Cook nell’agosto del 2011 fino alla sua morte avvenuta il 6 ottobre 2011 all’età di 56 anni. “Siate affamati, siate folli”; in fondo queste sono le parole che racchiudono tutta la vita di Steve Jobs, la sua ragione di vita espressa pubblicamente nel 2005 agli studenti di Stanford.

E nel ripercorrere le tappe fondamentali della sua vita personale e professionale tramite le pagine di Giacomix s’intuisce come Jobs fosse un uomo brillante con una grande capacità di persuasione e di valorizzazione delle idee altrui; il tutto condito dalla sua ferma determinazione di “cambiare il mondo”. Un uomo pieno di pregi e di difetti che, tuttavia, va visto come un persona dotata di talento e non come una divinità. Ma il mondo non avrebbe progredito così tanto se Steve Jobs non avesse deciso di mettere il suo contributo. Se non avesse deciso di “cambiarlo”. Si, fu vera gloria.