E all’improvviso un passato, fino a quel momento totalmente ignorato, bussa alla porta di un uomo e lo spinge a ricercarne ovunque le tracce. È quanto accade a Tiziano Marelli, protagonista del libro Troppa nebbia nel cuore (Edizioni dEste, 2016) romanzo tra il noir e l’inchiesta dove a narrare le vicende che lo vedono coinvolto è l’autore in persona.
Tiziano Marelli, tra un padre misterioso e un fratello sconosciuto
Brevi note biografiche dell’autore
Tiziano Marelli, milanese, inizia la carriera giornalistica alla radio libera Canale 96 per poi lavorare al Quotidiano dei Lavoratori, Lotta Continua e Il Manifesto. Ha collaborato successivamente al mensile Media Key, al settimanale Pubblicità Italia e al quotidiano Reporter mentre, dal 1992 al 2000 è stato alle relazioni interne ed esterne e all’ufficio stampa del Gruppo Fininvest lavorando per i marchi Publitalia, Milan Athletic Club e Standa. Tra le sue ultime esperienze giornalistiche vi è stata la collaborazione al mensile L’Europeo dove si è occupato di sport e cronaca nera. Nel 2011 ha dato alle stampe Fedeli a San Siro (Mondadori) scritto con Claudio Sanfilippo.
Troppa nebbia nel cuore, un fratello da ritrovare
Mentre è di ritorno in macchina da una visita ospedaliera della madre, Tiziano Marelli, giornalista affermato e impegnato politicamente con la sinistra extraparlamentare da giovane, apprende dal genitore, in maniera del tutto inaspettata, di avere un fratello fino ad allora completamente sconosciuto.
Di colpo, crolla un intero sistema di riferimenti affettivi e un complesso di certezze che l’avevano guidato fino a quel punto della sua vita. Preso da un’incontenibile voglia di saperne di più e aiutato anche dalla sua professione di giornalista d’inchiesta, comincia a ricostruire il mondo parallelo del padre Ubaldo, un passato segnato da una condanna in carcere e da frequentazioni ambigue e oscure. Sullo sfondo di due Italie completamente differenti tra loro, quella degli anni del terrorismo anni ’70 e quella quotidiana presa tra crisi economica e smarrimento valoriale, Marelli inizia la sua personale ricerca partendo dall’ex segretaria e amante del padre, scoprendo ben presto che si tratta anche lei di un’altra vittima inconsapevole degli eventi, per passare ai suoi ex compagni di lotta politica e arrivando ad affascinanti poliziotte per giungere alla medesima conclusione: sul passato del padre vige una sorta di cortina impenetrabile che impedisce di fare chiarezza sugli eventi. E quindi il mistero permane anche su gran parte della vita del fratello Stefano. Grazie ad alcuni flashback della memoria, lo scrittore milanese ci restituisce anche frammenti del suo passato di giovane extraparlamentare, una militanza che l’autore, con gli occhi di oggi, rivede in maniera molto severa e duramente critica. Tra Milano e Roma, passando per strani personaggi come l’enigmatica Aluna e una santera a Cuba, l’autore continuerà la sua ricerca incontrando anche l’amore di Igea. Fino ad arrivare a uno dei momenti più emozionanti del libro quando Marelli si trova a pochi metri di distanza quello che sembra essere il fratello Stefano il quale, probabilmente, aveva anticipato le mosse per capire cosa intendesse fare il nostro protagonista. Con tutta probabilità, anche il fratello è un poliziotto. I due non riusciranno a scambiare neppure una parola eppure per l’autore quei pochi secondi devono esser sembrati secoli; un tempo che, probabilmente, non è riuscito a diradare completamente quella nebbia che Tiziano Marelli si porta da sempre dentro il cuore.
Abbiamo rivolto alcune domande a Tiziano Marelli per approfondire determinati punti del libro.
Tiziano, come mai la scelta di scrivere in prima persona?
Se non l’avessi fatto direi che ogni ipotesi di “ricerca” di mio fratello – esistente, oppure no – sarebbe stata inutile. Almeno così ho provato a provarci. Non sei l’unico a farmi questa obiezione ma credo che l’aver insistito per usare nomi veri (nel libro lo sono quasi tutti, ho cambiato solo quelli che era opportuno non citare) sia il motivo principale alla base del tentennamento di Mondadori nel pubblicare il libro. Io vanto un contratto di esclusiva con la casa di Segrate che ha la durata di vent’anni, firmato dopo la pubblicazione del mio primo libro. Il loro attendismo mi aveva fatto passare quasi del tutto la voglia di pubblicare Troppo nebbia nel cuore, poi un’amica mi ha proposto Edizione Deste e ho accettato. A quel punto Mondadori non voleva darmi la liberatoria ma ho minacciato di rescindere il contratto e alla fine hanno mollato loro. A mio fratello e a mio padre devo anche questa – come dire? – prova di forza nei confronti di un gigante dell’editoria. Un’altra ragione per voler loro un sacco di bene.
Domanda scontata ma ineludibile: cosa hai provato nell’apprendere la notizia dell’esistenza di un fratello fino ad allora sconosciuto?
È stata una botta tremenda, una sorpresa del tutto inaspettata e anche uno sprone a cercarlo quel fratello, scoperchiando, di conseguenza, anche altri aspetti della mia vita familiare legati, invece, alla figura di mio padre, parecchio oscura. Direi che si è trattato di un esercizio di autocoscienza particolarmente duro e doloroso, ma tutto sommato molto utile. Mi piace scherzare dicendomi che scrivere questo libro mi ha fatto risparmiare qualche centinaio di sedute dallo psicanalista tanto è stato propedeutico nel farmi scavare “dentro”. Non per niente ci ho messo un tempo che considero infinito (quasi tre anni) per i miei standard di scrittura ma, a ogni capitolo, era come se dovessi prendermi una pausa necessaria per riuscire ad andare ancora avanti. Davvero, non è stato un semplice esercizio di scrittura: il vissuto personale “tosto” ci ha messo del suo, diventando quasi protagonista del racconto. Anche se lascio volentieri a mio padre e a mio fratello l’aver ricoperto i ruoli principali.
Il tuo libro ha un grosso pregio, quello di restituirci un affresco dell’Italia degli anni ’70 e ’80. È stato anche un momento per fare un bilancio personale?
Il corollario al racconto era proprio scrivere di quegli anni ed è uno stato di fatto temporale scontato per me che l’ho vissuto. Riguardo alla questione che la scrittura del libro sia stata capace anche di permettermi un bilancio, invece, direi di no: il bilancio l’ho già fatto con me stesso, direi in maniera impietosa, negli anni che sono venuti dopo, a partire da quello che nel periodo immediatamente successivo agli ‘80 è stato bollato con il termine (ingeneroso, secondo me) di “riflusso”.
Come molti che hanno vissuto quell’esperienza, ho avuto allora tutto il tempo per pensarci e lasciarmelo alle spalle, magari in maniera molto diversa da altri “compagni”. Io, per esempio, lo ricordo e lo ricorderò sempre come un momento di grande partecipazione e cambiamento, forse unico nel suo genere nella storia del nostro Paese del dopoguerra. Poi è arrivato il terrorismo che ha distrutto tutto, ma i sogni che abbiamo fatto e le cose che abbiamo contribuito a realizzare poi non possono essere cancellati da niente e da nessuno.
Al termine di queste pagine, qual è il sentimento prevalente nei confronti di tuo padre? E di tuo fratello?
Direi che rispetto a mio padre – al mio papà – ho finalmente elaborato il lutto nei suoi confronti e mi sono anche pacificato con la sua figura, complessa e controversa e nemmeno tanto “paterna”, secondo i canoni più convenzionali. Non è stato affatto facile in termini di accettazione del suo ricordo a posteriori. Per mio fratello provo pulsioni di dolcezza miste a rabbia perché posso affermare quasi con certezza che lui sa benissimo della mia esistenza (come si evince leggendo le parti che lo riguardano) e, nonostante questo, finora non si è ancora palesato e forse non lo farà mai. Penso che sia io che lui stiamo perdendo una grande occasione in termini di ritrovamento e ricongiungimento; un peccato assoluto, visto che il tempo che passa è caratterizzato da una cadenza mortale e ineluttabile. Quelli di dolcezza, invece, credo di averglieli manifestati compiutamente nella mia lettera finale e più di così non saprei davvero come esprimerli.