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7 minuti e Sole cuore amore: il cinema italiano e i lavoratori

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7 minuti

7 minuti il film di Michele Placido, presentato nella Selezione Ufficiale dell’ultima Festa del Cinema di Roma, che si è conclusa lo scorso 23 ottobre, esce domani nelle sale italiane. Su quattro film italiani presentati, due – 7 minuti e Sole cuore amore di Daniele Vicari, quest’ultimo nelle sale nel 2017 – hanno riportato l’attenzione sul tema del lavoro, inteso in una prospettiva sociale ed esistenziale.

7 minuti e Sole cuore amore presentati nella Selezione Ufficiale dell’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma

Cominciamo col dire che entrambi i film sono veicolo di un realismo amaro, tanto che il titolo scelto da Vicari, ricalcato su un ritornello tormentone di qualche anno fa, risulta talmente stridente rispetto al contenuto del film da essere chiaramente lì per un motivo, ovvero ricordarci che la realtà è molto più spesso lacrime e sudore che rose e fiori. La condizione dei lavoratori è la vera protagonista di questi film: il modo in cui il lavoro, per determinate fasce sociali – che vale la pena di ricordare sono quelle che ‘fanno’ il nostro Paese – aderisca talmente tanto all’esperienza del quotidiano da sostituirsi alla vita stessa. Non si lavora per vivere ma si vive per lavorare. Da cui l’amarezza di fondo.

Nella dimensione esistenziale e narrativa di questi due film, il lavoro è l’antagonista nella ricerca della felicità, e le protagoniste sono tutte donne. Un concentrato di resistenza femminile che le rende delle vere e proprie eroine del quotidiano, caratteri fortissimi, tenaci nella lotta e disposte a piegarsi solo per assicurare la sussistenza delle proprie famiglie.

In Sole cuore amore Isabella Ragonese è Eli, barista pendolare, marito disoccupato e quattro figli da mantenere. Tutti i giorni lo stesso estenuante tragitto per raggiungere con i mezzi pubblici la capitale dalla provincia, tutti i giorni lo stesso cappotto rosso, l’unica cosa che ci consente di distinguerla da una massa di persone che riempiono gli scompartimenti vivendo e soffrendo proprio come lei. La reiterazione delle situazioni si fa oppressiva e frustrante: quando la sveglia suona al mattino sappiamo già cosa significa per Eli, che annaspa ma non lo dà a vedere, anzi sorride sempre. È moglie e madre amorevole e riesce anche a prendere a cuore (letteralmente) la causa della sua collega, studentessa lavoratrice musulmana, tanto per non farsi mancare niente. Ecco, mentre tutto ciò che riguarda l’esperienza individuale di Eli risulta ben delineato ed efficace, sono le aperture sull’esterno a indebolire il disegno del film: in primis la figura dell’amica danzatrice, Vale, che stenta ad essere un valido contraltare della protagonista, ma anche le tematiche di cui Vale è portatrice, dall’amore frustrato per una donna al rapporto conflittuale con la madre, che spostano l’asse narrativo senza portare molto lontano.

In 7 minuti il discorso si fa corale: attrici tutte brave e singolarmente assortite, Mannoia e Maria Nazionale due vere “chicche”, prestano corpo e voce ad un testo che nasce per il teatro, l’opera omonima scritta dall’attuale direttore del Piccolo Teatro di Milano, Stefano Massini. L’impianto è classico, l’assunto è retorico nel senso nobile del termine: la realtà pone un quesito, l’uomo è chiamato a rispondere attraverso un ragionamento. Ispirata ad un fatto realmente accaduto, la vicenda vede un gruppo di operaie tessili di fronte ad una scelta: rinunciare a sette minuti della propria pausa pranzo per conservare il posto di lavoro. Quella che sembra essere una questione banale, sotto l’abile guida dell’operaia più anziana, e più saggia – interpretata da Ottavia Piccolo con una purezza da vera fuoriclasse – si dipana gradualmente fino a proiettarsi in una dimensione storica, dove diventa chiarissimo a tutti che non si sta parlando di sette minuti, né di una singola fabbrica, ma dei diritti di tutti i lavoratori. La scrittura è scientifica: ogni parola è pesata, ogni operaia rappresenta un mondo. Il tavolo delle trattative, intorno al quale sono riunite le rappresentanti del consiglio di fabbrica, diventa, attraverso i diversi punti di vista, un grande palcoscenico dell’umanità. Prima di arrivare all’epilogo, innescati dal quesito, esplodono tutti i conflitti, e l’operaia più anziana abbandona il tavolo: il voto risolutivo spetta, in un simbolico passaggio del testimone, alla più giovane, che dimostra di avere appreso, come tutti noi, una lezione importante.

 

7 minuti, il film di Michele Placido in uscita nelle sale italiane domani 3 novembre