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Aristide Massaccesi, alias Joe D’Amato, il regista dai mille nomi e dai mille volti

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Il 25 gennaio 1999 muore improvvisamente a Roma il regista Aristide Massaccesi. Districarsi tra i suoi mille nomi d’arte è difficilissimo. Nella sua carriera ha usato, di volta in volta lo pseudonimo che più lo intrigava o quello che a suo parere più si avvicinava al genere cinematografico affrontato.

Si è perso il conto dei suoi nomi

Di volta in volta si è chiamato Stephen Benson, John Bird, O.J. Clarke, Dario Donati, Raf Donato, Oskar Faradine, Sarah Asproon, Drago Floyd, Tom Salima, Frederic Slonisko, Robert Vip, Michael Wotruba, John Shadow, Kevin Mancuso o Chang Lee Sung. Tra tutti, Joe D’Amato è quello con il quale è maggiormente conosciuto in tutto il mondo. Aristide Massaccesi nasce a Roma il 15 dicembre 1936. Il cinema è la sua vita fin dall’adolescenza, quando inizia a lavorare a Cinecittà. Pur di restare sui set fa di tutto, dall’operatore al fotografo. Lavora tra gli altri come direttore della fotografia di film come “La carrozza d’oro” di Jean Renoir,È l’amore che mi rovina” di Mario Soldati, “Il disprezzo” di Luc Godard, “Brucia ragazzo brucia” di Fernando Di Leo e “La bisbetica domata” di Franco Zeffirelli.

Gigante del cinema di genere

Gigante del cinema “di genere” dopo una lunga “gavetta” sui set di vari registi come fotografo, sceneggiatore e anche… attore in “Straniero fatti il segno della croce!” un western di Demofilo Fidani, debutta come regista proprio nel western all’italiana nel 1972 con due pellicole senza firmarle. La prima è “Scansati… a Trinità arriva Eldorado”, un film firmato dal produttore Diego Spataro e la seconda “Un bounty killer a Trinità”, siglato da Oskar Faradine, uno pseudonimo utilizzato anche dall’altro produttore Oscar Santaniello. C’è chi sostiene che sempre nel 1972 abbia anche diretto “La Colt era il suo Dio”, un film che sui manifesti assegna la regia a Dean Jones, uno pseudonimo attribuito anche a Luigi Batzella e a Demofilo Fidani. L’esperienza di Massaccesi nel genere si conclude nel 1975 con il western avventuroso “Giubbe rosse”, interpretato da Fabio Testi. Negli stessi anni si cimenta con altri generi con il decamerotico “Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti”, il film di guerra “Eroi all’inferno”, il peplum “La rivolta delle gladiatrici”, prodotto da Roger Corman e l’horror “La morte ha sorriso all’assassino”, uno dei pochissimi film della sua carriera firmati col suo vero nome. Successivamente si cimenta con tutti i generi del cinema italiano di quel periodo, in particolare l’horror e lo splatter. Nella seconda metà degli Settanta inizia a orientarsi verso pellicole sempre più marcatamente erotiche fino a scegliere definitivamente il genere hard.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".