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Da sinistra, si può uscire dalla crisi?

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Il giornalista di "La Repubblica" Federico Rampini

“Avevo il dovere di scrivere questo libro. Perché ho due figli ventenni che affrontano, come tutti i loro coetanei, il mercato del lavoro più difficile dai tempi della Grande Depressione. Perché devo rispondere delle mie responsabilità: appartengo a una certa generazione della sinistra occidentale che ha creduto di poter migliorare la società usando il mercato e la globalizzazione. Ho voluto sfogliare il mio album di famiglia, la storia che ho vissuto con un pezzo della sinistra italiana, per capire le ragioni delle nostre sconfitte, quindi aprire una pagina nuova […] devo raccontare dal mio osservatorio attuale nell’Estremo Occidente quali sono i costi dell’era Berlusconi, e anche le radici profonde del berlusconismo, che gli sopravvivranno, i vizi di un’Italia ‘volgare e gaudente’ con cui dovremo fare i conti anche dopo. Che cosa farà questa Italia ‘da grande’? C’è ancora speranza? Alla sinistra indico le possibili vie d’uscita attingendo alle mie esperienze nelle nazioni emergenti, dall’Asia al Brasile: perché non possiamo farci risucchiare in una sindrome del declino tutta interna all’Occidente“. Con queste parole, Federico Rampini riassume le ragioni che l’hanno spinto a scrivere il saggio Alla mia Sinistra (Mondadori, 2011), una sorta di viaggio personale denso di considerazioni di carattere economico, politico, sociale e culturale sui Paesi in cui l’autore ha vissuto e ne ha potuto studiare evoluzioni e cambiamenti. E come l’autore, all’interno di questo ampio discorso di respiro mondiale, si rapporti con la Sinistra, ossia lo schieramento politico che dovrebbe rappresentare le esigenze e gli interessi della gente comune.

Alla mia sinistra di Federico Rampini

Da Sinistra, l’analisi di Federico Rampini

Nella sua fatica editoriale, pertanto, Rampini ci racconta una serie di eventi e passaggi storici che, nel bene e nel male, hanno caratterizzato il corso degli avvenimenti nella politica, nell’economia, nella cultura e nella società.

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Federico Rampini durante un’intervento

Il giornalista di La Repubblica espone tanti avvenimenti successi sia nella politica nazionale che in quella internazionale, evidenziando certi fatti – come, ad esempio, la rapida esaltazione e la successiva e, altrettanto, veloce discesa di “popolarità politica” dell’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama – sotto la lente d’ingrandimento dell’indagine giornalistica. Forte delle sue esperienze all’estero, Cina e Usa su tutte, Rampini ci fornisce uno sguardo complessivo sui processi politici, economici e sociali che stanno caratterizzando questo momento storico. Partendo un po’ da lontano, dai primi anni del nuovo millennio, quando diversi economisti e intellettuali dell’area progressista, tra cui lo stesso Rampini, hanno sposato un nuovo modello di sviluppo e abbracciato alcune idee che, nell’immaginario collettivo, si ritenevano appartenere alla destra: l’economia di mercato come sinonimo di progresso e il liberismo economico come strumento preferito per favorire la crescita e lo sviluppo.

La Grande Contrazione

Ma la crisi globale iniziata nel 2007 (Rampini la chiama la “Grande Contrazione“) ha letteralmente spazzato via i presupposti culturali di tale corrente di pensiero: la bolla finanziaria si è praticamente scaricata quasi esclusivamente sulle fasce medie e basse della popolazione mondiale, facendo crollare in tal modo il sogno di un liberismo progressista. Prendendo le mosse dagli sconvolgimenti di questi ultimi anni, Rampini cerca, da un lato, di capire le ragioni della crisi, evidenziando, allo stesso tempo, l’esuberanza economica dei BRICS e la decadenza di Usa ed Europa, e, dall’altro lato, di delineare alcune possibili vie d’uscite “di sinistra” dalla crisi tuttora imperante nel mondo occidentale. E non è un caso che Rampini si soffermi, riguardo questo punto, sul modello sociale della Germania, il cosiddetto Modell Deutschland, capace di reggere alla contrazione economica senza incrinare l’armonia sociale del Paese.

Le illusioni perdute della Sinistra

Scorrendo le pagine del libro, ci sono soprattutto due passaggi che Rampini mette bene a fuoco: il capitolo II dove l’autore ripercorre “le illusioni perdute” dell’Occidente durante gli anni ’90 e il capitolo IV, dove Rampini descrive la situazione dell’Italia di fronte a questo scenario di crisi. Nel capitolo II, Rampini mette a confronto quelle che, leggendo tra le sue parole, definisce le due grandi illusioni perdute: quella dell’America di Clinton, della new e green economy, cioè della liberaldemocrazia come “utopia concreta” in cui un certo capitalismo “pulito” e “ambientalista” assicura di reinvestire “i suoi profitti con le donazioni alle università, alla ricerca medica, ai parchi nazionali, alle tecnologie verdi” mascherando invece, dietro la promessa di rimpiazzare i tradizionali posti di lavoro nelle industrie con nuova occupazione altamente qualificata dal punto di vista intellettuale, l’intento di delocalizzare gli impianti, di risparmiare sui costi del lavoro e di limitare il potere del sindacato facendo così sparire il lavoro. Non a caso, Rampini cita un film, The Company Men, che ben illustra il trauma della perdita del lavoro da parte di alcuni “colletti bianchi” di un’azienda operante nella cantieristica navale con le conseguenti ricadute nello stile di vita e nei rapporti sociali. La conclusione a cui Rampini arriva è significativa: “Il capitalismo americano non rischia di commettere un suicidio, proprio come stava per fare nel 1929? Per eccesso di avidità, di prepotenza, di arroganza, le oligarchie hanno perso di vista che il potere d’acquisto della popolazione è essenziale anche per i profitti d’impresa.

Come può sopravvivere l’economia di mercato, se le imprese non hanno più mercato? A furia di umiliare il sindacato, di sregolare il mercato del lavoro, di dimagrire gli stipendi, di tagliare la spesa pubblica, come stupirsi se le vendite delle aziende languono? È il paradosso dell’istinto di autodistruzione, che più volte è affiorato nella storia del capitalismo dall’Ottocento ai nostri giorni“. E poi c’è l’altra illusione, quella dell’avanzante economia cinese rispetto a quelle occidentali, ma con costi civili e umani davvero indegni. Secondo Rampini, le forze progressiste del mondo occidentale dovrebbero ritornare a ideali di sinistra che vedono una società con un welfare forte, con l’attenzione alle tematiche ambientali e ai problemi dell’approvvigionamento energetico. Un modello – tipo il Brasile di Lula e, in parte, l’America di Obama – in cui la crescita economica si accompagni all’integrazione sociale, a un consumo sostenibile e a consistenti investimenti dello Stato in ricerca ed istruzione. A tale proposito, il pensiero di Rampini torna a una figura storica del socialismo francese, quel Jacques Delors che, da Presidente della commissione europea, pensava ad una “governance sociale della globalizzazione”.

I mali dell’Italia

Nel capitolo IV, Rampini pone la sua attenzione sui mali dell’Italia, il suo aver affidato il proprio destino democratico a due “commissari esterni”, l’Europa e il mercato, finendo, pur di restare nel club europeo, con l’offrire “come vittime sacrificali pesanti tagli alle pensioni, alla sanità, ai fondi per il trasporto pubblico o per la ricerca”.

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La copertina di “Alla mia Sinistra”

E questo per insufficienza delle proprie strutture economiche (e Rampini si chiede come mai l’Italia non si sia data una precisa mission di vita nel mondo da questo punto di vista), per le proprie tare culturali (e qui la critica del giornalista di La Repubblica va a colpire il malfunzionamento delle strutture pubbliche e la loro mancanza di responsabilità facendo così fallire l’idea stessa dello Stato) e per le lacune dal punto di vista politico. Sotto questo profilo, Rampini sottolinea come tutto ciò “va al cuore della domanda più acuta che mi rivolgono tanti amici europei e altrettanti amici americani: Berlusconi è un’oscena anomalia, impossibile in altre liberaldemocrazie, ma come la mettiamo con gli italiani che lo hanno eletto? E quando finalmente lui non sarà più al potere, come guariremo da questa malattia che per quasi vent’anni ha assunto le fattezze del berlusconismo, ma di certo non scomparirà d’incanto con la sua uscita di scena?” Ma se la situazione attuale in Italia è di così profonda crisi economica e sociale, Rampini vede un punto di riferimento nella Germania e nel suo Modell Deutschland che ha ottenuto, dal 1977 a oggi, dei risultati importanti nel quadro del continente europeo. Un sistema che, tramite alti salari e forti diritti sindacali, ha indotto le forze produttive tedesche a investire “nella ricerca, nell’innovazione, nella qualità, nell’ambiente”, riuscendo a resistere come nessun altro Paese occidentale alla recessione in atto, addirittura tenendo botta alla “via cinese” senza per questo rinunciare alle conquiste sociali e civili.

Le possibili vie d’uscita

Le pagine conclusive del libro sono dedicate a delineare alcune possibili vie d’uscita, delle potenziali exit strategy per il mondo occidentale, l’Europa e l’Italia. Scommettendo, in primo luogo, sulla formazione delle risorse umane già dalla scuola: “Oggi, per formare dei ragazzi che abbiano delle buone chance sul mercato del lavoro, bisogna fornirgli tre tipi di competenze: capacità di pensare criticamente per risolvere dei problemi; abilità nel comunicare; attitudine al lavoro di squadra”.

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La recente crisi economica ha duramente colpito le fasce medio e basse della popolazione mondiale

Ma, allo stesso tempo, avverte Rampini, le forze progressiste devono superare alcuni nodi di carattere culturale se vogliono porsi alla testa di un reale cambiamento della situazione. E, se pensiamo alle istituzioni educative, non si può fare a meno di sottolineare che si devono modificare gli atteggiamenti culturali e politici di fronte al concetto di merito: “Se la sinistra vuole avere un futuro, deve attrezzarsi a cambiare questi modelli valoriali, gli status sociali e la scala del prestigio delle professioni […] resta però che l’avversione ideologica della sinistra italiana verso la meritocrazia scolastica è sbagliata”. Il messaggio di chiusura di Rampini è particolarmente carico di significato: se si vuole reagire alla crisi occorre tornare, in primo luogo, ad avere fiducia in sé stessi. Quei paesi che l’hanno fatto, si son inoltrati, seppur tra mille difficoltà, sulla giusta strada della crescita e del progresso per tutti quanti. Occorre, quindi, tornare ad avere la speranza, e la Sinistra in primis, verso un futuro migliore, a “redistribuire la speranza” per cercare di modificare, in meglio, la difficile situazione attuale.