Home C'era una volta Il crepuscolo del punk

Il crepuscolo del punk

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Sabato 28 luglio 1979 un imponente servizio d’ordine presidia le strade che circondano il Rainbow di Londra. In quello che è considerato uno dei templi del rock britannico si esibiscono nell’ultimo concerto della loro breve vita gli Sham 69, una band di culto del movimento punk.

Un concerto simbolo

Le forze dell’ordine sono state allertate fin dalla mattinata. Ogni concerto del gruppo guidato da Jimmy Pursey si trasforma in un campo di battaglia per opera degli skinheads, accesi, quanto imbarazzanti sostenitori degli Sham 69. Del resto non è immotivata la pessima fama, delle “teste rasate”, termine che in quel periodo ha una connotazione di estrema sinistra. Nati come risposta alle provocazioni fasciste del National Front contro i punk, in breve tempo si sono fatti la fama di violenti e attaccabrighe spesso senza motivo. “Se tutti i ragazzi rimarranno uniti, non saranno mai vinti” è il saluto con il quale gli Sham 69 si congedano dal pubblico del Rainbow. Ma non è solo la fine del concerto, né quella della band. È la fine di un’epoca.

La fiamma si sta spegnendo

La fiammata del punk, anarchica e nichilista, non ha sbocchi e si sta esaurendo. Le urla che salutano l’uscita di scena di Pursey, del batterista Mark “Doidie” Cain, del chitarrista Dave Parsons e del bassista Dave “Kermit” Treganna hanno il sapore dell’addio a una stagione esaltante, ma disperata. Eppure solo un anno prima Jimmy Pursey gettava a terra e calpestava il disco d’argento consegnatogli per le vendite di That’s life in segno di solidarietà con gli Angelic Upstarts, messi alla porta dalla Polydor, la loro casa discografica. Non è più tempo di premi. Le energie del punk si stanno spegnendo. Pursey, dopo un paio d’album da solista, tornerà nell’anonimato, come i ragazzi da lui descritti: “Il punk è un ragazzo che vive in palazzoni desolati della periferia. Non sa cosa fare. Non gli piace la noia e ogni tanto si diverte a sfasciare i vetri di qualche finestra con un mattone, poi torna a casa”.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".