Il 9 ottobre 1978, muore Jacques Brel. Era nato l’8 aprile 1929 a Schaerbeek, in Belgio ed è stato uno dei pochi artisti belgi capaci di conquistare i francesi
La sigaretta sempre accesa
«Io non ho messaggi da dare. Quel lavoro lo lascio fare ai postini». Accompagnata da un sorriso sarcastico la sua frase arriva come una frustata a chi tenta di stanarlo sulle questioni politiche. Nascosto dietro quell’aria un po’ indolente, con la sigaretta sempre accesa e le dita gialle di nicotina, lo chansonnier belga trattato dai parigini come se fosse uno di casa non sopporta chi tenta di ficcare il naso nelle sue cose siano esse opinioni, idee o anche soltanto canzoni. Quando il mondo si accorge di lui non è più un ragazzino. La strada per la notorietà è stata lunga e non del tutto scontata. Figlio di un piccolo industriale che produce cartoni appena possibile cerca di percorrere una strada diversa da quella che il padre ha immaginato per lui. Compone canzoni e le canta nelle bettole di Bruxelles. Il suo primo disco arriva relativamente tardi, nel febbraio del 1953, dopo ottantadue provini falliti. È un 78 giri e nelle due facciate ci sono le canzoni La foire e Il y a. Pubblicato dalla Philips, vende la non straordinaria cifra di duecento copie, una delle quali però arriva per caso nelle mani di Jacques Canetti forse il più abile scopritore di talenti della scena parigina che si entusiasma, lo contatta e lo convince a seguirlo nella capitale francese.
Il grande successo
Brel non infiamma ma piace e riesce a restare a Parigi alzando le spalle quando le critiche si fanno feroci e cantando canzoni per spettatori non sempre attenti dalle otto di sera alle prime luci dell’alba. Lo stralunato chansonnier trova così nuovi ammiratori. Una in particolare si rivela decisiva per la sua carriera. È Juliette Gréco, una sorta di dea della corrente esistenzialista dalle parti di Saint-Germain-des-Prés, che inserisce nel suo repertorio un suo brano intitolato Le diable. Si tratta di un incontro fondamentale per lo chansonnier belga che, oltre a moltiplicare le entrate in diritti d’autore, conosce e collabora con il pianista Gérard Jouannest e l’arrangiatore François Rauber. Arriva il successo. Grande. Parigi lo adotta e ne fa un protagonista della scena musicale, ma lui resta un ribelle nella vita come nelle canzoni. Più volte annuncia l’intenzione di non cantare più in pubblico e altrettante volte si smentisce. Nel 1968 i medici gli dicono che un tumore ha iniziato a mangiargli un polmone. Compra una barca a vela e, dopo un intervento chirurgico, se ne va in giro per il mondo. Si ferma a Hiva-Oa, nell’arcipelago delle Isole Marchesi che, di fatto, diventa la sua nuova patria. Nel 1977, quando sente che la fine s’avvicina, registra il suo ultimo disco (due milioni di copie di prenotazioni) e destina il 90% dei proventi alla ricerca sul cancro. Pochi mesi dopo, il 9 ottobre 1978, muore all’ospedale di Bobigny, un sobborgo di Parigi. Ha quarantanove anni e viene seppellito sulla adorata isola Hiva-Oa.