Non è certo la prima volta che Daily Green intervista uno scrittore o un poeta italiano contemporaneo. È però la prima volta che, dialogando con un autore, affronta delle tematiche particolarmente sensibili e delicate, molto a contatto con il nostro essere profondamente umani. Ed è con questo spirito che abbiamo discusso con Marco Righetti del suo ultimo libro, La vita è molto più uscito nel 2013 per i tipi di Leone editore.
La vita è molto più, a colloquio con Marco Righetti
Marco, sei già “comparso” sulla nostra testata in occasione della recensione del tuo romanzo d’esordio Sole nero. Allora ti avevamo visto alle prese con un noir ecologico mentre adesso parliamo del tuo nuovo libro, La vita è molto più, un romanzo decisamente più introspettivo. Come mai questo cambio radicale dal punto di vista della tua prosa?
In realtà la distanza fra il primo e il secondo romanzo è molto meno ampia di quanto sembri: anche in La vita è molto più c’è un tema sociale a muovere le pagine, anche qui c’è una denuncia, non già della miopia suicida di fronte ai temi ecologici e dei giochi di potere legati alle fonti di energia tradizionali, della follia di certi comportamenti legati a un ambiente, il deserto, (c’è chi leggendo Sole Nero ha pensato allo Straniero di Camus) e a un clima mutato, a una congiuntura almeno preoccupante. Nel romanzo La vita è molto più denuncio il nostro stesso comportamento di fronte al dolore privato. L’autismo del protagonista, Francesco, è il cuneo migliore per scalzare le sicurezze acquisite, per far saltar fuori la fragilità di certezze che non reggono. La sua famiglia è nel dramma ma lui, che di questo dramma pone le basi, è anche il primo che inconsapevolmente, silenziosamente, meravigliosamente inizia a rifondarla su altri valori.
La trama che in La vita è molto più prende corpo insieme a Francesco è un inedito continuo, a cominciare dagli stessi genitori: il libro vive generandosi da questo piccolo protagonista e dall’universo che lui va riformattando intorno a sé. Bisognerà vedere, nel corso delle pagine, quanto i genitori capiscano gli eventi profondi, quanto sappiano trovare quel ‘prato in fondo al cuore’ che cito espressamente in un passo struggente, quanto siano disposti a capire di essere di fronte a un bambino particolare, non tanto a un malato quanto a un portatore di luce, a un illuminato portatore di speranza. Di fronte all’impatto dell’autismo di Francesco nulla regge: né la sua famiglia e né la posizione buonista, pressappochista, la maschera benpensante della società civile. Sotto questo profilo c’è una scena importante, siamo nella sala d’attesa di un centro vaccinazioni. E c’è la descrizione del comportamento di un altro bambino, autistico, il cui pianto destabilizza i presenti. Da quel momento inizia nella sala d’attesa la partita fra ‘normalità’ e malattia. Lo spartiacque fra il bambino autistico e tutti gli altri è invisibile ma netto, il suo problema crea anzi un movimento di difesa negli altri, un’improvvisa ‘alleanza fra le madri che hanno figli normali’, che ben volentieri concedono alla madre di quel bambino sfortunato ‘il primato nel dolore’. Veronica è anche lei, per il momento, fra le madri di figli sani, e non può che gioire che Francesco ‘è diverso da quel bambino diverso, e quindi è normale’. Ma il lettore capisce che quell’idillio fra Veronica e suo figlio non potrà durare intatto.
Parliamo di La vita è molto più. È una storia che mi ha colpito molto specie sotto due punti di vista, uno più legato al tuo modo di scrivere e l’altro più al messaggio di fondo che proviene dal libro; da una lato, l’estro narrativo che hai utilizzato nel descrivere una vicenda così intima e privata come quella che riguarda il protagonista del libro, Francesco, un ragazzo autistico, e, dall’altro, la sensibilità umana che hai utilizzato nel concepire il tema di fondo del libro e cioè che dalla sofferenza può nascere la speranza. Volevo chiederti, con quale spirito e con quale stato d’animo ti sei messo davanti alla macchina da scrivere per scrivere La vita è molto più? La realtà di tutti i giorni ti ha offerto degli spunti per ispirarti?
A quattordici anni una mattina vedo mia madre, insolitamente ancora a letto invece di prepararsi per andare a scuola, dire frasi sconnesse, prive di senso. Aveva una trombosi cerebrale in corso. Da quel momento è iniziato per mia madre un calvario, sono stati anni terribili, trascorreva interi periodi in ospedale. Quando poi lei era a casa mio padre, di ritorno dal lavoro in banca, con pazienza infinita le insegnava ad articolare le sillabe, a scrivere, a leggere, a parlare… mia madre insegnava Lettere.
Da questa vicenda di un recupero durato dieci anni, ho capito che non potevo più contare su nulla, che nulla è come crediamo che sia. E dietro un volto ci può essere un infinito in attesa, e tutto il dolore privato di qualcosa che si è perso. È nella capacità di sperare l’unica costante possibile, nella forza dell’amore e nel suo difficile credo. La vittoria in questi casi è già nella luce sprigionata da quest’amore attraversato dal dolore, reso più autentico. La luce non è il contrario dell’ombra ma il suo riflesso più evidente: dall’ombra bisogna riuscire ad avere il coraggio di risalire alla luce che la genera. Ma c’è dell’altro. Aver trascorso, nel corso degli anni, alcuni periodi di vacanza con una persona disabile e con coloro che la amavano mi ha dato ancora una volta la misura di quanto la vita sia altro rispetto a quella che siamo abituati a vivere. Mi sono lasciato interrogare dalla vita e, in fondo, questo libro nasce come risposta a un’intervista che la vita mi ha sempre fatto. Vivere vuol dire rendersi conto degli altri, di quello che ‘succede’ a loro. Ma qui non ho dato risposte, nessuno può darle, ho semplicemente rigirato le domande alla vita stessa, l’ho lasciata parlare. La vita è molto più è un’operazione di trasparenza, un restituire all’esistenza e alle sue imprevedibili, inattese variabili la pioggia e il sole, nella convinzione che ‘la vita è molto più’.
Scorrendo le pagine del libro sembra ci sia una protagonista molto nascosta: Roma. Che ruolo gioca la Città Eterna in La vita è molto più?
Ha una funzione narrativa ben precisa, Roma è il secondo narratore, affabulante: ingloba il lettore nel suo mondo di esterni luminosi, nel sonno di pontefici e imperatori che sorvegliano palazzi e ville, negli scorci millenari che sostano sulle teste dei protagonisti e li invitano all’ebbrezza di un coinvolgimento che è parte viva. Roma è carne della vicenda raccontata. La Roma dei Farnese e del ponentino, di Via Giulia e delle fontane berniniane, di cieli barocchi e degli acquerelli di Roesler Franz, delle chiese e dei presepi. Salvo rivelarsi poi la città dei misteri sepolti nella sua storia e pronti a riemergere dall’asfalto dei secoli, la città delle leggende, dei riti nascosti dietro la facciata di qualche antica dimora. Nella seconda parte del libro c’è una lunga scena che avviene sull’Aventino, e lì entrano nelle pagine voci non più della città monumentale, radiosa, eterna ma di quella invisibile, quiescente negli ipogei e nei mitrei, nelle cene di Trimalcione, nell’improvvisa rottura dell’ordine consueto: Roma esce dal suo passato, si affaccia e si manifesta a Jacopo, il padre di Francesco, e alla sua folle avventura.
Ed è la stessa Roma bene che ospita ville dove sotto l’agguato di una notte buia – le stelle ormai morte, come dice Eva – si tengono feste per ‘palati fini e tasche gonfie’, feste dove può accadere di tutto. Roma non accende neppure un lume in più, dapprima osserva Jacopo, schiacciato da quello che sta accadendo, con la stessa indifferenza della gigantesca natura nel ‘Dialogo della Natura e di un islandese’. È subito dopo che l’Aventino inizia ad animarsi. In La vita è molto più Roma è un enorme animale mitologico: con i suoi grandi occhi, cioè con le famose vetrate di certi suoi palazzi, fissa Jacopo e la sua emergenza. ‘Roma è estesa come un virus’: il romanzo nasce da questa improvvisa coscienza di Jacopo. Ma Roma è anche il luogo della memoria di momenti che hanno devastato la storia italiana: in un passaggio rendo infatti un omaggio esplicito alla figura indimenticabile di Vittorio Bachelet.
In occasione della “prima” di La vita è molto più alla Libreria Koob di Roma, il poeta e critico letterario Plinio Perilli ti ha spesso paragonato a nomi importanti della letteratura come Tolstoj, Dostoevskij e Nievo per illustrare diversi passaggi del libro. Che effetto ti ha fatto essere accostato a questi grandi nomi?
Evidentemente Plinio non stava bene… Scherzi a parte, quei nomi restano per me dei modelli, ho bevuto quegli autori col latte, vorrei dire, come un alimento essenziale. Ogni scrittore ha un felice debito con i suoi auctores. Interi capitoli dei romanzi di Dostoevskij potrebbero figurare come libri a sé, tanto il loro assunto è profondo, squarciante. E alla fine questa qualità si trasmette alle nostre fibre: resta in memoria quello che abbiamo ricevuto. Altra cosa è riuscire a farne tesoro, se ci sono riuscito ne sono naturalmente lusingato. Diceva il compianto Gianfranco Casini che Mozart è stato, in vita, il più grande ‘ladro’ della storia della musica, lui aveva debiti con molti musicisti che lo avevano preceduto.
Eppure forse è stato il più grande genio e il discorso si può allargare a Picasso quando diceva: “Quando dipingo, ho l’impressione che tutti i pittori del passato dipingano con me.” E Le ultime lettere di Jacopo Ortis attingono continuamente a opere letterarie di ogni tempo. Per lo stesso Montale si parla di una tecnica di citazione dantesca. Insomma se ‘ciascuno è solo sul cuore della terra’ questo non è mai vero nell’arte: quando scrivi un romanzo, sei sempre in compagnia degli scrittori che ti hanno spianato la strada. C’è poi chi rifiuta qualunque compagnia, anche quella di se stesso: solo dopo il suicidio di Roman Gary si è scoperto che era lui nientemeno che Emile Ajar, l’autore di quel La vita davanti a sé che aveva vinto il prestigioso Goncourt (e che si aggiunse così al precedente Goncourt conseguito, sotto lo pseudonimo usuale, per Le radici del cielo). Mi piace molto Gary, lo nomino espressamente nel libro.
La vita è molto più è il tuo secondo romanzo e immagino che vorrai proseguire nella tua carriera di scrittore. Quali sono i progetti futuri che hai in cantiere? Dobbiamo aspettarci qualche altra (gradita) sorpresa per quanto riguarda la tua narrativa?
Molti progetti. Al momento sto iniziando a buttar giù la sceneggiatura di questo romanzo, c’è già chi lo ha visto inequivocabilmente come soggetto cinematografico, dalla prima all’ultima pagina. Ho quasi pronto un thriller, devo rivederlo. C’è poi una corposa silloge di racconti che attende il momento opportuno per uscire. Non è finita: ho in preparazione un romanzo che narra una storia familiare, e affonda nel passato, nella Resistenza, ma l’idea di fondo è una particolare vicenda che lega subito i protagonisti e il lettore…