Home Eco Culture L’anima baltica raccontata da Jan Brokken

L’anima baltica raccontata da Jan Brokken

SHARE
Brokken
Il 23 agosto 1989 circa due milioni di persone si tennero per mano formando una lunga catena umana tra Vilnius, Riga e Tallin.

Ci sono dei libri che hanno la particolare capacità di saper raccontare storie, vicende e circostanze diverse tra loro eppure legate da un filo conduttore formidabile: l’essenza delle cose. È il caso di Anime Baltiche (Iperborea, 2014) del giornalista e scrittore olandese Jan Brokken. In questo volume, a metà tra il saggio e il romanzo non disdegnando lo stile giornalistico, compare un pezzo di storia europea riguardante gli stati baltici dell’Estonia, la Lettonia e la Lituania. Paesi spesso sconosciuti in quanto percepiti come lontani dalla nostra cultura mediterranea, eppure così tanto vicini da un punto di vista umano in quanto, scorrendo le pagine del libro di Brokken, troviamo avvenimenti di vita vissuta di personaggi noti e meno noti accomunati dall’appartenenza a un territorio e all’orgoglio della propria identità culturale. E delle proprie radici familiari perché, come dice lo stesso scrittore olandese nell’intervista a Ingrid Basso apparsa il 20 novembre scorso su Il Manifesto, “[la famiglia] è la tua ricchezza e non la puoi perdere, perché se la perdi hai perso la tua lingua, le tue radici. Le tue radici sono tutto.”

Brokken e il viaggio tra le “anime baltiche”

Storie, persone e famiglie baltiche nel libro di Brokken

Nel corso del suo itinerario verso Nord, Jan Brokken ci conduce attraverso le storie di personaggi noti al grande pubblico ricostruendone tutto il retroterra umano e culturale. Troviamo così le vicissitudini del regista Sergej Eizenštein, dello scrittore Roman Kacev meglio conosciuto come Romain Gary, del violinista Gidon Kremer, della filosofa Hannah Arendt, dello scultore Jacques Lipchitz, del pittore Mark Rothko e del musicista Arvo Pärt. Personaggi famosi della cultura a livello mondiale, che hanno le proprie radici in questo ristretto spazio di terra. Ma il meglio della sua narrazione, Brokken lo riserva quando ricostruisce e racconta le storie di persone decisamente meno note al grande pubblico. È il caso della famiglia di librai ed editori lettoni Roze. Attraverso la loro vicenda, si legge in filigrana un secolo di storia nazionale, costellata da dominazioni straniere e tentativi di soffocamento della propria identità. Brokken ricorda in particolare le deportazioni del 14 giugno 1941 e del 25 marzo 1949 durante le quali i sovietici trasferirono oltre 58.000 lettoni dalla loro terra madre. E nella prima di queste venne deportato Janis Roze perché, secondo i sovietici, era il proprietario di un’impresa commerciale e secondo il regime comunista “ogni lettone che possedeva un pezzo di terra, una casa, un negozio o un’azienda [doveva essere] deportato con tutta la famiglia. Fu un’epurazione etnica e sociale: chi era privilegiato doveva pagare”. È il caso della lituana Loreta Asanaviciute, morta ad appena ventitré anni sotto i cingolati di un carro armato russo nel 1991. La motivazione che portò questa giovane ragazza a manifestare per l’indipendenza della propria terra in quei drammatici mesi antecedenti il crollo del regime sovietico, non era l’adesione al nazionalismo ma il solo fatto che “non ne poteva più di cantare in russo: quello che sentiva, poteva esprimere soltanto nella sua lingua, in lituano”. E quello che è davvero toccante nella sua vicenda è la domanda che fece ai dottori dopo essere stata schiacciata da un tank di Mosca, poco prima di spirare: “Potrò ancora sposarmi? Potrò ballare alle mie nozze?”

È il caso, infine, della famiglia estone Von Wrangel e della commovente vicenda di Anne-Liselotte detta Lotti. Abbandonata la propria casa nel 1939 a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale, quella della famiglia Von Wrangel è una storia tipicamente baltica fatta di fughe precipitose, sradicamento delle proprie radici e di lutti profondi. Ma con l’anima sempre legata a Moisamaa, in Estonia, la loro terra d’origine. È con questa volontà che il fratello di Lotti, Claus, decide di combattere a fianco dei tedeschi contro i sovietici, perché così, sconfiggendo le armate di Stalin, “papà, mamma, Lotti e Oli [possono] tornare in Estonia. Il motivo per cui si batte è rientrare con onore nella casa di legno di Moisamaa”. E il ricordo del Paese natale non si affievolì neppure durante i lunghi anni trascorsi in Olanda per Lotti e in Germania per il fratello Oli. Nel 2004, poco prima della morte della madre e dello zio, la figlia di Lotti, Karin, decise di riportarli per l’ultima volta nella loro originaria dimora familiare e qui Brokken ci regala un’emozione quasi in presa diretta: “Il momento che a Karin sarebbe rimasto impresso per sempre, però, fu la sera. Saranno state le otto, c’era ancora luce e il cielo si andava colorando di rosa. Lotti e Olaf si trovavano nel punto del giardino che un tempo era la sabbiera, dove giocavano tutte le estati. Karin era a una trentina di passi da loro. Vide Olaf muoversi con più scioltezza e le sembrò addirittura di sentire Lotti che rideva. Quasi impercettibilmente face qualche passo avanti: non voleva intromettersi, ma era anche curiosa. Che cosa si stavano dicendo? Perché all’improvviso sembravano così felici? Quando fu più vicina, udì che Lotti e Olaf stavano parlando in estone. Da un momento all’altro le parole erano riaffiorate alla memoria, parole che ancora non riuscivano a pronunciare correttamente e che suonavano poco familiari sulle loro lingue […] Rivedere quei luoghi aveva riportato alla luce la lingua della loro infanzia, una lingua che per il resto della vita non avevano più potuto o saputo parlare”.

Brokken tra identità e cultura dei popoli baltici 

Scorrendo le pagine del libro, Brokken ci racconta vicende di una terra particolarmente colpita da fughe precipitose, distratagemmiper sopravvivere, di quartieri e città cancellati, di famiglie scomparse ma anche di episodi di grande significato simbolico come quello dellacatena umana che, il 23 agosto 1989, vide circa due milioni di estoni, lettoni e lituani snodarsi per una lunghezza di seicento chilometri da Tallinn a Vilnius per reclamare la propria indipendenza dall’URSS. In questo, Brokken coglie un aspetto fondamentale della cultura dei baltici quando afferma che “un ebreo lettone, quanto a uno estone, o lituano, o a un tedesco di una regione baltica di lingua tedesca o a un cittadino di origine polacca: in tutte queste persone [c’è] un tratto comune. I Paesi baltici sono stati occupati per secoli da diverse grandi potenze: Russia, Svezia, Polonia, ma hanno sempre mantenuto la loro identità, e questa identità è la loro lingua, l’eredità musicale, drammaturgica. Quindi è la cultura che li ha salvati dalla distruzione”.

Si potrebbe pensare che queste tormentate vicende possano aver acuito un robusto sentimento nazionalista nei tre stati baltici. Ma Brokken, al contrario, sottolinea che, più del nazionalismo, è stato l’orgoglio a tenere unite queste comunità perché l’orgoglio “non ha niente a che vedere con il nazionalismo, lo sciovinismo o l’arroganza. Essere orgogliosi del proprio paese significa credere in tutto ciò che lo rende speciale, diverso, unico. Significa avere fiducia nella propria lingua, nella propria cultura, nelle proprie capacità e nella propria originalità. Quest’orgoglio è la sola risposta adeguata alla violenza e all’oppressione”.