Non siamo nelle Metamorfosi di Ovidio, eppure la storia che vi stiamo per raccontare ha, proprio come la voce incantevole di Eco, la ninfa che si innamorò perdutamente di Narciso, qualcosa di mitico e straordinario. C’era una volta, alle pendici delle Prealpi biellesi, in un punto che collega il santuario di Graglia alla chiesa di San Carlo, uno dei fenomeno acustici più antichi e affascinanti che si conoscano: l’eco endecasillabo. Fenomeno rarissimo, tanto da essere presente solo in un’altra parte del mondo, precisamente nella zona del Grand Canyon, negli Stati Uniti, l’eco endecasillabo fu scoperto da un gruppo di studiosi del Settecento.
L’eco-endecasillabo, tra natura arte e cultura
Ancora oggi, raggiungendo un punto segnalato opportunamente e rivolgendosi verso il Santuario, è possibile udire, dopo una singola frazione di secondo, l’eco della propria parola gridata al vento. Non una parola qualsiasi, ed eccone la vera particolarità, bensì un intero endecasillabo (ossia un verso, o una parola, di undici sillabe). Come è possibile che la natura sia in grado di riprodurre un eco così lungo e preciso? Gli esperti lo spiegano come un effetto della rifrazione delle onde sonore nelle singolari geometrie del complesso monumentale del Santuario, in presenza di condizioni climatiche e ambientali particolarmente favorevoli.
L’eco endecasillabo di Graglia resta un meraviglioso esempio di come, quando l’arte dell’uomo incontra la natura, possano ancora crearsi delle sinergie armoniche in grado di produrre valore e poesia per l’ambiente che ci ospita. Questa è la via che, con più umiltà e maggiore rispetto per il pianeta che lasceremo ai nostri figli, andrebbe finalmente perseguita. Oggi più di ieri, senza più riverberi dei nostri errori o, peggio ancora, echi dei nostri orrori. Non bisogna far violenza sulla natura, semmai persuaderla. Proprio come ci ricorderebbe Epicuro, proprio come ci ricorda, ancora ai giorni nostri, l’eco endecasillabo di Graglia.