Home C'era una volta “Les anarchistes”, l’inno della notte delle barricate

“Les anarchistes”, l’inno della notte delle barricate

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Il 10 maggio 1968 alla Salle de la Mutualité, nel corso di uno spettacolo destinato a raccogliere fondi per la rivista anarchica “Le monde libertaire”, Léo Ferré interpreta per la prima volta la canzone Les anarchistes, (…Non son l’uno per cento, ma credetemi esistono/figli di troppo poco o di origine oscura/non li si vede che quando fan paura/sono gli anarchici…) un brano destinato a diventare una sorta di inno degli “irregolari della rivoluzione” di tutto il mondo. Con quell’esibizione Léo Ferré lascia una sorta di firma su una notte particolare, ricordata ancora oggi come “la nuit des barricades”, la notte delle barricate. Proprio alla sera di quel 10 maggio 1968 più di ventimila manifestanti occupano il Quartiere Latino chiudendone le strade di accesso con barricate robuste che in qualche caso superano anche i tre metri d’altezza. Mentre la popolazione simpatizza con i giovani gli inviti a sgomberare non sortiscono alcun effetto. Dopo un lungo alternarsi di minacce e trattative, alle 2 e un quarto della notte le forze antisommossa della polizia francese muovono all’assalto della prima barricata. È quella di Rue Gay-Lussac. I manifestanti resistono accanitamente e solo alle prime luci dell’alba, cioè più di tre ore dopo l’inizio degli scontri, le forze dell’ordine completeranno lo sgombero dell’ultima barricata eretta dai rivoltosi. Il bilancio degli incidenti è di oltre trecentocinquanta feriti (duecentocinquanta tra i poliziotti e il resto tra i manifestanti). La notte delle barricate è considerata l’inizio del Maggio francese. Per una non troppo casuale coincidenza Les anarchistes di Léo Ferré ne è diventata la simbolica colonna sonora.

Tra anarchia e poesia

Non c’è niente di meccanico nel rapporto tra Léo Ferré e la politica o, meglio, l’impegno politico. È una sorta di innamoramento progressivo che inizia all’inizio degli anni Cinquanta con le prime timide incursioni curiose e culmina poi in una passione febbrile e violenta destinata a non raffreddarsi mai fino alla morte del cantautore. La politica arriva nella sua vita e nella sua ispirazione attraverso la poesia e la frequentazione di intellettuali che non la disgiungono mai dall’impegno attivo come Louis Aragon e molti altri amici di Saint Germain-des-Prés. I veri artefici della sua maturazione e della scelta dell’impegno attivo sono però gli antifranchisti spagnoli esuli a Parigi. Negli anni Cinquanta li frequenta perché è affascinato dalle loro storie che parlano di una terra e di un tempo che sembrano così lontani da quelli in cui vive lui pur essendo a pochissimi giorni di cammino. Il randagio sperimentatore si abbevera alla fonte fresca dei loro racconti e insieme alle storie assapora anche il gusto di idee che fino a quel momento aveva guardato con una sorta di cortese distacco.

Il Sessantotto e la Rivoluzione permanente

Le “pessime” frequentazioni affinano la sua vena polemica, lo aiutano a vedere “oltre le pieghe della storia” e ne fanno un cantautore “politico” anche se la definizione a lui piace poco. Il suo amore e la sua passione sono per gli anarchici, una “genìa” che sente vicinissima ai suoi sentimenti, ma non disprezza frequentazioni con alcuni intellettuali legati al Partito Comunista Francese, soprattutto quelli che appartengono alla cerchia degli amici di Louis Aragon. I movimenti sociali del maggio francese lo segnano profondamente. Il concetto della rivoluzione permanente lo affascina. È colpito dall’idea di una formula che consenta allo spirito rivoluzionario di rinnovarsi costantemente senza corrompersi mai e, soprattutto, senza lasciarsi sedurre da potere. La vive come un’utopia possibile perchè frutto della capacità umana di mettersi costantemente in discussione. Questa idea lo accompagna anche nei mesi successivi al maggio e gli nascere il desiderio di fissare su disco gli umori, le sensazioni, le speranze e le delusioni di una stagione che lui considera unica e straordinaria. Proprio parte dell’album ispirato al Sessantotto farà anche da filo conduttore a un nuovo spettacolo che, messo in scena al Bobino, resterà in cartellone per ben due mesi.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".