Home Punti di vista Rezza-Mastrella: «I rifiuti sono il nostro linguaggio»

Rezza-Mastrella: «I rifiuti sono il nostro linguaggio»

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rezza mastrella

Flavia Mastrella e Antonio Rezza sono uniti da un esatto ventennio nella produzione di performance teatrali, film a corto e lungo respiro, trasmissioni televisive, performance e set migratori.

Mastrella, fornita di una fantasia plastica, espone negli anni sculture, video-sculture e fotografie in Italia e all’estero. Rezza, unico nel suo genere, è attore, regista di cinema e teatro, scrittore.

Antonio e Flavia sono in scena, al Teatro Vascello di Roma con il loro ultimo spettacolo Fratto_X, fino al 6 gennaio.

Flavia, come nasce il vostro sodalizio artistico, l’incontro con Antonio?

Risale a tanti anni fa, nel 1987, credo, ma io per le date sono un disastro. Abbiamo cominciato a lavorare insieme ad un progetto fotografico. Ci siamo trovati bene e così mi sono avvicinata alla dimensione di Antonio che era quella teatrale. E poi, abbiamo fatto quello che abbiamo fatto.

Che cos’è l’Habitat?
Rappresenta una realtà immaginaria.

Per la costruzione dei tuoi “quadri di scena” utilizzi diversi materiali come la cartapesta, le stoffe ma anche materiale di recupero. E’ vero?

Sì, è vero perché con questi materiali puoi scrivere un altro linguaggio. Gli oggetti di recupero io li prendo non per un’azione di pietà ma semplicemente per quello che significano. Mi servono come linguaggio codificato.

Cioè?
Ti faccio un esempio. C’è un uomo che utilizza un reperto marino come una maschera, ritrovata nell’acqua e che ha una consistenza particolare. Incastonata con le stoffe dà l’idea di un personaggio che potrebbe benissimo essere un pilota di una Ferrari Testa Rossa o di una motocicletta, un motociclista cioè. La linea di questi oggetti suggerisce a chi guarda un contesto. E quindi è un linguaggio.

Quindi ognuno di questi oggetti diventa qualcos’altro, si trasforma.

Rappresenta in primo luogo se stesso e la sua epoca e non il suo funzionamento.

Flavia spesso i tuoi materiali di scena sono degli “oggetti abbandonati”…
Sfrutto la disattenzione degli altri perché uso questi rifiuti come materia. Io sono, si può dire, una specialista del mare, una studiosa dell’immondizia dell’acqua e ti posso assicurare che è proprio tanta. Le nostre spiagge sono ricoperte di “polvere” di plastica. D’inverno, certe volte, ti accorgi di questa polvere azzurra, plastica frantumata che ricopre la sabbia. Passeggiando lungo la spiaggia trovo un mondo: pupazzetti di tutti i tipi, stecchetti di lecca lecca, fischietti, etc.

Questi oggetti che raccogli ti rimandano ad un altro significato?
No, mi rimandano soprattutto al concetto basilare dell’essere contemporaneo cioè che una cosa non dura molto e fa subito mitologia. E’ la cosa che rappresenta meglio l’esistenza del nostro periodo. L’immondizia è lo specchio della nostra realtà, del nostro passaggio. Ogni cosa ha vita breve, tutto diventa subito antico e subito inquinante.

Flavia parlaci dell’Habitat di “Fratto_X”…
E’ il risultato di un percorso che inizia, ha la sua base formativa e figurativa nella fotografia. Per due anni ho fotografato le luci di notte sull’autostrada. In scena ci sono due fasci di luce che formano una X. Ho condizionato la mia fantasia a quel tipo di estetica e ne è nato questo lavoro. Il disegno delle luci in questo spettacolo ricalca quelle atmosfere un po’ rarefatte della sovraesposizione. Insomma un lavoro che parla quel tipo di linguaggio. E in più però ci sono dei frammenti di realtà, c’è una sedia, una città girevole.

E come interagisce Antonio con questi oggetti? Come nasce l’idea, ne parlate prima insieme o l’idea nasce da te e poi Antonio interviene con le sue performance?
Gli oggetti sono densi di una realtà. Antonio la vive questa realtà e quindi ne intuisce a livello corporeo i contenuti ma non è che io glieli spieghi. Quando funziona così il meccanismo, le cose funzionano molto bene. Ad esempio in “Fotofinish” ho inserito una sfera che per me rappresentava il microcosmo ma Antonio non lo sapeva. L’oggetto è talmente giusto che, alla fine, Antonio ha utilizzato l’interno della sfera come una casa e un ospedale: due microcosmi, uno per la vita e uno per la malattia.

Antonio Rezza, tu non conosci prima il significato degli oggetti che troverai in scena nell’Habitat di Flavia?
No, io il significato non lo conosco nemmeno dopo. Cioè io non conosco niente di quello che fa Flavia, so quello che sta facendo però poi appena arriva lo spazio, io ci vivo dentro per un anno. Non mi pongo il problema del significato degli oggetti. Vivo lo spazio. Interagisco con gli oggetti ma non mi pongo il problema di quello che gli oggetti possano rappresentare o significare perché altrimenti sarebbe una previsione.

E tu invece Antonio, quanto sei green nella vita?
Ma non lo so. Per esempio non butto mai le sigarette a terra, mi fa schifo. Non è che lo faccia perché penso all’inquinamento, quello penso che sia inevitabile. Mi dà fastidio che una cosa privata come la sigaretta possa finire in un luogo pubblico. Un gesto assurdo. La sigaretta fumata è una cosa brutta e non è biodegradabile.

Ci sono altre cose che fai con attenzione verso l’ambiente?
Non mi vengono in mente. Quali sono le cose che si fanno?

La raccolta differenziata per esempio.
Da quello che so in parecchi posti dove si fa poi non ci sono i canali ricettivi per poterla smaltire. A volte mi sembra inutile, fino a quando ci sarà questo sospetto che non sia smaltita per come viene raccolta, mi sembra che resti solo una seccatura.

Parliamo della preparazione dei tuoi spettacoli. Come nascono Antonio?
Nascono con delle prove aperte per il pubblico, quando lo spettacolo ancora non c’è. Si modifica in base al corpo del pubblico e al mio corpo. Chiaramente facciamo delle prove anche senza pubblico però non di durata, sono delle “prove di genio” per far scaturire quella scintilla che mette in moto procedimenti superiori. C’è uno sforzo fisico che non sarebbe possibile se non ci fosse la rappresentazione, e da lì inizia un percorso di memoria delle cose migliori. Buttiamo tantissimo, per arrivare ad un’ora e mezzo, buttiamo almeno venti volte tanto. Ci sono idee per trenta spettacoli. Ecco in questo noi sporchiamo molto, perché buttiamo le idee. Le buttiamo così, dove vanno vanno, e non in appositi contenitori. Credo che il consumismo come fenomeno sia giusto solo a livello creativo. Noi consumiamo idee perché le idee ci appartengono, quindi alcune suggestioni che potrebbero essere dilatate nel tempo per farci uno spettacolo, da noi durano cinque minuti oppure vengono gettate via perché non trovano accoglienza nella struttura. Non ci poniamo il problema di dove metterle. Certo sarebbe bello poter fare una raccolta differenziata delle idee superiori. Penso che l’inquinamento sia morale e questo non può non portare ad un inquinamento pratico della natura perché l’uomo è inquinato dentro.

Infatti nei tuoi spettacoli anche questo esce fuori, metaforicamente.
Certo sì, anche questo viene fuori metaforicamente.

Senza dare giudizi …
Giudizi ce ne sono ma non si capiscono perché altrimenti diventerebbero dei messaggi che noi non diamo. Il teatro che dà messaggi è un teatro di povera gente.

Antonio nei tuoi spettacoli il corpo è importantissimo. Fisicamente si può dire che non ti risparmi.
Mi alleno, faccio esercizio fisico ma non vado in palestra. Vado a correre, gioco a pallone, non faccio un allenamento specifico. Per rimanere in forma fumo poco, non bevo, cerco di mantenermi integro, nei limiti del possibile.

Nei tuoi spettacoli, durante alcune scene, mostri il tuo pene. Questa parte del tuo corpo rappresenta qualcosa in particolare, che significato ha?
Il mio pene? Non mi hanno mai fatto questa domanda.

Sempre se un significato ce l’ha …
Non anatomizzerei la sensazione, non è una questione né di pene, né di parti che essendo uomo io non ho. E’ la questione della neutralità del corpo che può essere uomo e donna. Io ho ancora un corpo neutro che può essere donna e uomo, allora non diventa un nudo volgare ma un nudo pittorico. Cioè io ad esempio non ho peli ed è ancora più facile. Se si spogliasse un uomo con tantissimi peli, diventerebbe un altro nudo. Il mio non dà fastidio perché per cultura, per educazione abbiamo più familiarità con quello femminile. Il mio essendo un nudo a metà, non può infastidire e poi, circondato da luce, da stoffa, da strutture, diventa un esperimento vicino alla pittura oltre che al gioco del bambino. Nel mio spettacolo “Fotofinish” ho fatto anche la donna. E’ come il gioco che si fa da piccoli, tutti i bambini lo fanno. Nascondi il pene dietro e rimane solo la parte davanti. E allora lo spogliarsi diventa un gioco, un divertimento. Quando lo faccio anche per me è divertimento perché non è un nudo che dura tanto, non è uno stare nudi, è un giocare proprio come fanno i bambini.

Due battute su questo spettacolo ma senza anticiparci troppe cose …
Non è possibile descriverlo, sarebbe inutile. E’ uno spettacolo, per semplificare, sulla manipolazione, su chi subisce il potere. Perché chi detiene il potere non è chi lo esercita ma chi lo subisce appunto. Solo che questo storicamente non viene percepito perché numericamente è maggiore la gente che subisce angherie rispetto a quella che le compie. Certo, la morte la si augurerebbe meglio a chi lo detiene, questo è fuori discussione, però diciamo che qui si sbeffeggia la vittima ma non in modo macchiettistico. Anche “Fratto_X”, come “7-14 21-28”, è legato alla numerazione, alla filosofia numerica.

Fratto_X con Antonio Rezza e Ivan Bellavista nell’Habitat di Flavia Mastrella

Fratto_X 

Note di Antonio Si può parlare con qualcuno che ti dà la voce? Si può rispondere con la stessa voce di chi fa la domanda? Due persone discorrono sull’esistenza. Una delle due, quando l’altra parla, ha tempo per pensare: sospetta il tranello ma non ne ha la certezza. La manipolazione è alla base di un corretto stile di vita. Per l’ennesima volta si cambia forma attraverso la violenza espressiva. Mai come in questo caso l’odio verso la mistificazione del teatro, del cinema, della letteratura, è implacabile. Il potere sta nel sopravvivere a chi muore. Noi siamo pronti a regnare. Bisognerebbe morire appena un po’ di più. Fratto_X

Note di Flavia L’Habitat Fratto_X è un impeto da suggestioni fotografiche. Le immagini raccontano la strada che corre e l’impossibilità di agire. Scie luminose si materializzano con l’inquietante delicatezza dei fiori visti da vicino. … Anche Fratto_X è un ideogramma, insegue la leggera freschezza vibrante del tratto e il colore saturo dell’immagine in 3d. Una distesa di pelle calda organizza figure antropomorfe, sommerse dalla carne e dalla carnalità, vittime disponibili alla persuasione di massa. L’inutilità permea e comprime i personaggi che si affacciano da un divieto X. La sedia, mezzo mutante color azzurro, pelle e ruggine, è presa in prestito dal teatro di narrazione. Il Telecomandato geneticamente alterato e Il Miracolo dell’urbanizzazione sono sculture mobili dipendenti. La carcassa del guerriero viene riproposta come presenza epica solo nella forma e nell’atteggiamento.