Home C'era una volta Sergio Sollima, grande regista di genere

Sergio Sollima, grande regista di genere

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Il 17 Aprile 1921 nasce a Roma Sergio Sollima. Il suo ingresso nel mondo del cinema avviene per gradi.

Un abile artigiano del cinema

Negli anni della guerra frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia, ingegnandosi poi a raggranellare qualche soldo necessario per vivere come critico cinematografico. Gli sono compagni di corso Michelangelo Antonioni e Giuseppe De Santis. In quel periodo scrive anche saggi su John Ford e il cinema americano. Nel dopoguerra scrive per il teatro e lavora con personaggi come, tra gli altri, Arnoldo Foà, Tino Buazzelli, Rossella Falk e un giovane Nino Manfredi che fa il protagonista di una sua opera dedicata alla resistenza antifascista e intitolata “L’uomo e il fucile”. Passa poi a lavorare alla sceneggiatura in molti film mitologici all’italiana, i cosiddetti “peplum”. In questi anni conosce Sergio Leone, Duccio Tessari e molti dei futuri protagonisti della stagione dei western all’italiana. Il suo debutto alla regia avviene con un paio di film di spionaggio, girati sull’onda del successo della trasposizione cinematografica delle avventure dell’agente segreto James Bond-007 di Ian Fleming. Non lo fa con il proprio nome ma, come accade per i pionieri del western all’italiana, con lo pseudonimo “americano” di Simon Sterling. I film, Passaporto per l’inferno del 1965 e Massacro al sole del 1966, che hanno come protagonista l’agente segreto 3S3, nonostante la sigla del protagonista sia difficile da ricordare, ottengono un buon successo di pubblico.

L’incontro con il western

Sergio Sollima incontra il western all’italiana grazie al suo amico Sergio Leone. È proprio il regista di Per un pugno di dollari, infatti, a presentarlo al produttore Alberto Grimaldi che accetta di rischiare un po’ di soldi ne La resa dei conti. Il successo del film gli dà la possibilità di realizzare un altro paio di pellicole: Faccia a faccia del 1967 e Corri uomo corri, il seguito de La resa dei conti. Nei suoi western “terzomondisti” affronta con il gusto del regista d’avventura e con il garbo della narrazione popolare temi importanti come quello della rivolta delle classi subalterne e dei paesi poveri. I tre film esauriscono la sua esperienza western. Negli anni Settanta si dedica al poliziesco all’italiana, quello stesso genere che decenni più tardi verrà chiamato “poliziottesco”, realizzando film come Città violenta del 1970 o Revolver del 1973. Nel 1976 realizza la trasposizione televisiva a puntate di Sandokan, il personaggio nato dalla geniale creatività di Emilio Salgari. La serie diventa uno dei maggiori successi della storia della televisione italiana. Muore a Roma il 1º luglio 2015.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".