Home C'era una volta Quel disco dei Buzzcocks è contro la morale!

Quel disco dei Buzzcocks è contro la morale!

SHARE

Il 26 gennaio del 1978 la ditta che dovrebbe stampare per il secondo singolo dei Buzzcocks What do I get comunica alla casa discografica del gruppo di non poter rispettare l’accordo perché la legge vieta di produrre “materiale offensivo per la morale comune.

Noi quel testo non lo cambiamo

La querelle riguarda il brano che dovrebbe occupare il lato B del disco, intitolato Oh, shit (Oh, merda). Immediatamente consultati, i componenti di quello che viene considerato un po’ il gruppo caposcuola del punk “morbido” si rifiutano di cambiare il testo del brano incriminato e comunicano di essere anche indisponibili a sostituirlo con un altro. Non ci sono vie d’uscita. Tra la casa discografica e la ditta incaricata di stampare i dischi inizia una controversia legale tanto rapida quanto violenta e costellata da diffide, ultimatum, appelli all’opinione pubblica e dichiarazioni d’irresponsabilità. Alla fine il disco verrà pubblicato e diventerà il primo grande successo commerciale dei Buzzcocks, la band formata un paio d’anni prima da uno studente di elettronica al Bolton Institute of Technology che si fa chiamare Pete Shelley, anche se il suo vero nome è Peter McNeish e da uno studente di filosofia che risponde al nome di Howard Devoto. I due decidono di formare un gruppo dopo aver assistito a un concerto dei Sex Pistols.

Un gruppo punk con un’ambizione in più

Quando nasce la polemica sulla canzone offensiva per la morale Devoto ha già lasciato i compagni per seguire nuove strade (formerà i Magazine) e la band è composta, oltre che da Shelley, dal batterista John Maher, dal bassista Steve Diggle e dal chitarrista Steve Garvey. Polemiche a parte i Buzzcocks sono destinati a lasciare un segno nella fulminante e breve epopea del punk, per il loro suono brillante e cristallino, in netto contrasto con le note cupe e lancinanti di quel periodo. Anche la polemica per il brano è, in fondo, un po’ forzata, viste le canzoni del gruppo. Nonostante la crudezza del linguaggio, infatti, il loro repertorio è composto, in larga parte, da canzoni d’amore lontane anni luce dal nichilismo esasperato che sembra caratterizzare la maggioranza dei gruppi punk. Lo stesso Shelley così descriverà quel periodo qualche anno più tardi: «I Buzzcocks erano un gruppo punk con un ambizione in più: quella di scrivere canzoni che tutti potessero sentire proprie senza filtri o forzature. Per questo non c’era nei nostri brani quella rabbia, spesso finta, che piaceva tanto ai produttori».

 

Previous articleSci, musica e cultura in bassa Valtellina
Next article“Caccia al passante” e uno strano quartetto
Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".