Home C'era una volta Roby Crispiano, tra il twist e Dylan

Roby Crispiano, tra il twist e Dylan

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Il 18 luglio 1938 nasce a Roma il cantautore Roby Crispiano. Alla fine degli anni Cinquanta si esibisce nei locali della Capitale con il nome di Roberto Castiglione, che poi è il suo vero nome. Fa un genere che in quel periodo si chiama “melodico moderno”. È pulitino e preciso come tutti i ragazzi che temono da un momento all’altro di perdere il posto.

Affascinato dai folk singers

Pian piano si fa conoscere anche fuori dalle mura della sua città e dopo aver ottenuto il primo contratto discografico, nel 1962 partecipa al Cantagiro nel girone B, riservato ai giovani di belle speranze. Canta un brano a tempo di twist intitolato I nuovi angeli che sembra costruito apposta per fare da sottofondo alle calde sere estive. I tempi, però, stanno cambiando velocemente. Dagli Stati Uniti arriva l’eco della nuova generazione di folk singers che sta tentando di dare la scalata al cielo con le sue canzoni. Il buon Roberto resta affascinato da quella strana musica e decide di cambiare radicalmente genere. Molla la compagnia beata delle orchestrine da locali notturni e, con un paio di sandali, una chitarra e un armonica ricomincia tutto da capo o quasi.

Una voce ruvida e tanta rabbia

Per cancellare il passato cambia nome in Roby Crispiano. La metamorfosi è impressionante. La voce pulita ed educata di Roberto Castiglione diventa ruvida come la carta vetrata. All’inizio fatica un po’ a trovare qualcuno disposto a dargli spazio, anche per il clima inquietante e aggressivo che traspare dalle sue canzoni. I tempi però, come dice Bob Dylan, stanno cambiando e finisce che ai discografici va bene anche uno come lui. Nel 1966 pubblica il folk blues Solo io e te che spodesta un mito come Caterina Caselli nella settimanale classifica della trasmissione radiofonica “Bandiera gialla”. Nello stesso anno arrivano i grattacapi. Al Festival delle Rose di Roma dovrebbe presentare, in coppia con i Pooh, un suo brano intitolato Brennero 66 dedicato ai ragazzi di leva costretti a rischiare la vita per far la guardia ai tralicci in Alto Adige contro gli attentati degli autonomisti. Nei suoi confronti scatta, però, la censura televisiva che prima cambia il titolo della canzone in Le campane del silenzio” e poi sostituisce la frase “Tu sei morto inutilmente” con “Tu sei morto in silenzio”. L’anno dopo centra un paio di successi con A piedi scalzi e Uomini uomini, ma la canzone italiana sta correndo velocemente e l’esaurirsi della fiammata del beat chiude anche il suo momento migliore. Muore a Roma il 16 giugno 2000.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".