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A San Bernardino moriva Woodstock

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Il 30 maggio 1983 a San Bernardino, in California, si chiude uno dei più devastanti e discussi raduni musicali dei primi anni Ottanta: l’US ‘83 Festival.

Tre giorni di musica e sangue

Il bilancio di quella che era stata presentata come la “nuova Woodstock” è impressionante: tre morti, centotrentacinque feriti e centoquarantacinque arresti. I commenti dei mass media, quasi tutti tendenti a dimostrare come questo tipo di raduni siano ormai fuori tempo, danno un risalto amplissimo agli aspetti negativi. C’è chi parla di «Tre giorni di musica e sangue» parafrasando il «pace, amore e musica» di Woodstock e chi auspica, senza mezzi termini, l’abolizione definitiva di questi «raduni di droga, violenza e musica assordante e insulsa». Una vera e propria ondata di melma, in sintonia con il cambiamento del clima culturale, si rovescia sulla cultura rock. Una fragile diga di resistenza viene eretta dai giornali della cultura underground che, proprio partendo dagli stessi dati del bilancio finale, rovesciano l’impostazione di chi vorrebbe cancellare i grandi raduni.

Colpa della commercializzazione

Nella sostanza la controcultura alternativa punta il dito sulla eccessiva commercializzazione di questo tipo di manifestazioni che, per soddisfare le esigenze delle case discografiche, non esitano a far esibire sullo stesso palco gruppi, artisti e stili musicali diversi, talvolta contrastanti. La tesi è chiara: «Sono le major che provocano incidenti». Come si fa, sostengono questi fogli, a far convivere i fans degli Stray Cats o dei Mötley Crüe, bianchi che più bianchi non si può e talvolta un po’ razzisti (non sempre per colpa delle band) con il punk militante e radicale dei Clash? Un raduno non è un catalogo e le mescole possono diventare esplosive. In ogni caso dopo qualche settimana più nessuno si ricorderà più dei morti e, tantomeno, degli incidenti. I grandi raduni supersponsorizzati continueranno, lasciando però ai margini le band più impegnate. Lo spirito di Woodstock è finito da tempo, seppellito dal mercato.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".