Home C'era una volta Adriano Celentano, il ragazzo della Via Gluck

Adriano Celentano, il ragazzo della Via Gluck

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Il 6 gennaio 1938 nasce a Milano Adriano Celentano. Figlio di immigrati pugliesi, negli anni Cinquanta abita a Milano in quella Via Cristoforo Gluck che è diventata la sua Abbey Road. Fa l’apprendista orologiaio e arrotonda le entrate imitando Jerry Lewis in coppia con il suo amico Elio Cesari che in quel periodo fa il verso a Dean Martin e poi diventerà Tony Renis. Sono anni frizzanti. Finite le giornate del boogie woogie arrivato sui tank degli americani in Italia cominciano ad arrivare sulle onde del passaparola e dei primi dischi “rubati” gli echi del rock and roll.

Diavolo d’un rock and roll

Se per i benpensanti il rock and roll è il diavolo, un segno evidente della corruzione dei costumi, per i giovani è invece il profumo della libertà. Quello che si muove in Italia non è ancora un vento, ma un sottile e appena percettibile refolo. Timidamente emergono i primi imitatori delle tecniche d’oltreoceano. Anche se non c’è l’urlo rabbioso e liberatorio del rock più aspro e “nero” alcuni iniziano a cantare fuori dai gorgheggi e dalle voci impostate della tradizione. Il giovane Celentano è uno dei più esagerati. Canta in un inglese approssimativo i brani imparati dal giradischi e rielabora il ritmo con il corpo prima ancora che con la voce muovendosi come una marionetta senza fili. Le sue esibizioni nelle balere milanesi gli valgono il titolo onorifico di Molleggiato e ne fanno un mito per quel tessuto complesso di adolescenti apprendisti, lavoratori, studenti e disoccupati delle periferie milanesi che anni dopo qualcuno chiamerà proletariato giovanile. Lì nascono il mito di Adriano Celentano e il rock and roll italiano, che non può essere considerato una semplice e pura “moda” d’importazione. Quasi tutti i rocker della prima generazione infatti sono degli innovatori, non degli scimmiottatori. Essi innestano le caratteristiche del genere proveniente dall’altra parte dell’Oceano sull’impianto della canzone ritmica italiana elaborando così una strada autonoma, una sorta di “via italiana al rock and roll” che influenzerà in maniera profonda la stessa struttura della musica popolare del nostro paese.

Un fenomeno di massa

Nel 1958 centra il suo primo successo commerciale con Buonasera signorina. Nel 1959 vince il Festival di Ancona con Il tuo bacio è come un rock. La svolta della sua carriera porta la data 26 gennaio 1961 quando il rock and roll sbarca al Festival di Sanremo con la canzone “24 mila baci. Adriano si presenta sul “sacro” palcoscenico del Festival in modo strafottente e fuori dagli schemi. Durante l’esibizione si contorce e si permette di voltare la schiena al pubblico dimenando i glutei in diretta televisiva. Con quell’esibizione a Sanremo non sbarca soltanto il rock and roll, ma anche la carica sessuale che l’accompagna. La diretta televisiva amplia a dismisura l’impatto. Il successo del brano è straordinario e oltre un milione di copie del disco verranno bruciate in poche settimane. La nicchia è diventata un fenomeno di massa. Il refolo è diventato un tornado e Celentano un profeta indiscusso. L’uomo prende fin troppo sul serio questo ruolo e non smetterà più di recitare la parte. Raduna gli amici di sempre in una factory alla quale da il nome di Clan, scopre la religione attraverso una crisi mistica, diventa una star del cinema e soprattutto prende posizione sempre e comunque in modo esagerato, anche quando non è dalla parte giusta. Si schiera contro il divorzio, contro l’aborto e quando esplodono le lotte operaie dell’autunno caldo predica la pace sociale con Chi non lavora non fa l’amore. Non si fa però in tempo a dargli del reazionario che lui apre una dura critica al modello di sviluppo consumista e si lancia in campagne ecologiste, pacifiste e antirazziste. Nonostante il passare del tempo, pur lontano dal “molleggiato” rocker degli inizi, continua a mantenere inalterato il suo carisma sul pubblico che gli perdona volentieri anche i periodici deliri autocelebrativi.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".