Il 31 marzo 1915 nasce ad Amsterdam, in Olanda, il pianista, trombettista e compositore Boy Edgar, il cui vero nome è George Willem Fred Edgar.

Il divieto di suonare jazz

Figlio di un commerciante di prodotti coloniali di origine armena il futuro Boy Edgar entra in contatto per la prima volta con il jazz al liceo e nel 1932 si esibisce come trombettista per pagarsi gli studi medicina. Nel 1936 ottiene a Bruxelles il premio Robert de Kers come miglior trombettista amatoriale e nel 1937 entra nel gruppo The Moochers, assumendone la direzione nel1939 al posto di Tony Helweg. Ci resta con cui rimane fino al 1941, fino a quando gli occupanti nazisti vietano il jazz.  In quel periodo sposa Mimosa Frenk con la quale partecipa alla resistenza per salvare i bambini ebrei. Pur continuando a studiare medicina, non abbandona la musica sia pur nei generi consentiti dalla censura. Scrive arrangiamenti per Dick Willebrandts suona Ernst van’t Hoff e nel 1945 con l’orchestra di Piet van Dijk.

Un premio alla memoria

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale Edgar viene imprigionato per qualche tempo perché si rifiuta prestare servizio militare. Tra il 1946 e il 1949 arrangia per l’orchestra Metropole, con la quale partecipa a tournée in Svizzera, Austria e Italia. Nel 1950, Edgar ottiene il dottorato di ricerca con una tesi sui processi nel sistema nervoso della sclerosi multipla, la malattia di cui soffre sua moglie. Nei primi anni Cinquanta collabora nuovamente con Kid Dynamite e con i Black and White Stars. Si dedica poi prevalentemente alla composizione e all’arrangiamento, creando una propria big band, la Boy’s Big Band. Collabora anche con Johnny Griffin, Abbey Lincoln, Eric Dolphy, Max Roach, Ted Curson, Oliver Nelson, Ben Webster, Nina Simone e Theo Loevendie. Muore l’8 aprile 1980. Nel 2018 Boy Edgar è stato insignito alla memoria del premio Yad Vashem per il suo aiuto agli ebrei durante la seconda guerra mondiale.

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".