Il 7 aprile 2003 Cindy Lauper viene invitata a parlare all’annuale cerimonia di consegna dei GLAAD Media Awards, i premi annuali che la Gay & Lesbian Alliance Against Defamation assegna alle persone e alle produzioni dell’intrattenimento che abbiano contribuito a dare un’immagine più veritiera e accurata della comunità LGBT e delle questioni che riguardano la loro vita.
Questa società è ossessionata dall’idea di invecchiare
Si tratta di un riconoscimento importante per la cantante, icona dei movimenti per i diritti civili anche perché arriva nell’anno del suo cinquantesimo compleanno. Abituata da sempre a gestire intelligentemente il rapporto con i media non aspetta che siano i giornalisti a introdurre l’argomento. Al primo accenno di domanda parte diretta: «Già, avete visto che quest’anno compio cinquant’anni? Bene, ve lo dico subito: non ho paura del tempo che passa e non capisco che cosa ci sia di così interessante da suscitare questa curiosità quasi morbosa». Ironizza, si diverte a stuzzicare i giornalisti e poi aggiunge: «Volete sapere quello che penso io? Bene. Io penso che questa società sia ossessionata dall’idea di invecchiare ma l’ossessione non è uguale per una donna o per un uomo. Ci avete fatto caso? Quando si chiede l’età a una donna che lavora lo si fa come se si scalciasse un cerchione di una ruota per verificare la tenuta dell’intelaiatura». Sa come muoversi e lo fa anche in quell’occasione. In quelli che venivano considerati “gli anni del disimpegno” ha colto lo spirito del tempo ma si è permessa di usarlo facendo ballare una generazione su parole tutt’altro che ingenue. Quando la sua ‘Girls just want to have fun’ (Le ragazze vogliono solo divertirsi) diventa un canto liberatorio per milioni di ragazze adolescenti alle prese con una società maschilista, lei spinge la provocazione più in là con ‘She bop’ (Lei esplode), un inno alla masturbazione («dicono che dovrei smetterla,/se no divento cieca… non è ancora/una cosa proibita dalla legge»).
Fascisti alla moda
Con la sua aria un po’ stordita e una musica che salda il punk alle energie danzerecce “buca” il disimpegno di quel periodo portando in discoteca parole impegnative («padre, padre/non c’è bisogno di grandi scalate/la guerra non è una soluzione»). In lei il divertimento si coniuga con la rabbia e il ritmo con le idee. Riesce a far ballare il popolo delle discoteche su un brano feroce contro la loro superficialità come Love to hate (Amo odiare) «Fascisti alla moda,/lì fuori in branchi,/alcuni con la cipria sul naso… amo odiarvi, amo odiarvi, lo dico sul serio…». Guai poi a cascare nella trappola della sua faccetta ingenua e stordita pensando che in fondo sia soltanto il prodotto inconsapevole di un marketing provocatorio studiato a tavolino da un gruppo di esperti. E quando chiacchiera con i giornalisti le sue idee sono più dirette ancora dei testi delle canzoni: «Io sono nata in un quartiere povero, ho visto con i miei occhi la lotta di classe e so che cosa significa il fascismo economico. Se sei povero non c’è altra via d’uscita che la lotta. Si lotta per tutto anche solo per riuscire a vivere e a trovare un lavoro». Nell’anno del suo cinquantesimo compleanno approfitta dello spazio regalatole dai GLAAD Media Awards e promette di continuare a cantare, forse per mantenere l’impegno preso proprio in True colors: «se questo mondo ti fa impazzire/e hai dovuto subire più di quello che puoi sopportare/tu chiamami/perché lo sai che ci sarò».