Home C'era una volta Fréhel, l’anima della “chanson réaliste”

Fréhel, l’anima della “chanson réaliste”

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Il 3 febbraio 1951 muore sola e disperata la cantante Fréhel, considerata la principale interprete della “chanson réaliste” nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale,

La paura del futuro

Marguerite Boulc’h, questo è il suo vero nome, nasce a Parigi il 14 luglio 1891 al n° 2 di Boulevard Bessières, nel diciassettesimo arrondissement, da genitori bretoni che sopravvivono facendo un po’ di tutto. Fin da piccola passa le giornate nella strada e tutta la sua infanzia è caratterizzata dalla povertà e dalla consapevolezza che i suoi genitori e le persone che le stanno intorno sono sempre alla ricerca frenetica di un modo per raggranellare qualche soldo e per sopravvivere. È in questi anni che le entra dentro la paura della povertà, il terrore del domani, la paura che il futuro possa essere peggiore del pur triste presente, l’incertezza dell’attesa e, in fondo, la voglia di cancellare la realtà. Con il nome di Pervenche debutta a sedici anni sul palcoscenico del Café de l’Univers cantando canzoni scritte da Montéhus. Diciannovenne, bella, un po’ ingenua e affascinata dall’ambiente in cui si ritrova a vivere la ragazza non sa e non vuole resistere alla corte serrata di uno dei tanti tombeur de femme della notte parigina. È un maestro di canto che si diletta anche a scrivere spettacoli. Il suo nome è Robert Holland, ma tutti lo conoscono come Roberty. Lei si innamora perdutamente di lui che la sposa, la mette incinta e poi la lascia per Damia, un’altra grande chanteuse di quel periodo. Siccome quando le cose vanno male non c’è limite al peggio anche il figlio nato dalla sfortunata storia con Roberty poco dopo muore e Fréhel precipita in una depressione che pare senza fine. Alle delusioni della vita fa quasi da contraltare il grande successo sul palcoscenico dove, forse per lasciarsi dietro alle spalle il dolore degli anni precedenti, ha scelto di cambiare nome d’arte in Fréhel, una sorta di omaggio a Cap Fréhel, un luogo simbolico della Bretagna, la terra da cui arrivano i suoi genitori.

La fuga e il ritorno

Nel firmamento della notte parigina è una stella di prima grandezza, amata e osannata dai frequentatori dei locali notturni. Il successo, però, non cancella l’angoscia interiore e il senso di provvisorietà che prova di fronte ai momenti belli della vita. Nel 1911 si lascia alle spalle i pochi amici rimasti, Parigi e la Francia e se ne va. La sua bussola punta verso Est. Dalla Turchia alla Russia, prima quella degli zar e poi quella socialista nata dalla rivoluzione di Lenin, i paesi dell’Est sono i testimoni del suo continuo girovagare nel tentativo di lasciarsi dietro alle spalle il passato dedicandosi più agli stupefacenti e all’alcol che alla canzone. Più di un decennio dopo la sua precipitosa fuga, nel 1923 Fréhel torna a Parigi. La cantante è cambiata al punto da sembrare irriconoscibile anche agli occhi degli amici più cari e di quelli che l’hanno conosciuta da vicino. Precocemente invecchiata da una vita un po’ troppo oltre il limite si accorge che il pubblico, nonostante tutto, non l’ha dimenticata. Si rimette un po’ in sesto e nel 1924 il suo concerto all’Olympia, intitolato “L’inoubliable inoubliée Fréhel” (L’indimenticabile indimenticata Fréhel), fa il pieno di pubblico e di consensi. La critica saluta in lei una delle più autorevoli interpreti della “chanson réaliste” e il pubblico si spella le mani per applaudirla quando canta brani come La java bleue, La coco o La der des der. Anche il cinema le dà spazio. Fréhel partecipa a una nutrita serie di pellicole compreso il fortunato “Pépé le moko” di Duvivier con Jean Gabin dove proprio lei canta Où est-il donc?. Il ritrovato successo non la cambia né le dà una ragione per mollare la dipendenza da sostanze varie. Negli anni successivi lavora sempre meno fino alla fine disperata nella camera di un albergo a ore di Rue Pigalle.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".