Home C'era una volta Gene Vincent, quello di “Be bob a lula”

Gene Vincent, quello di “Be bob a lula”

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Il 12 ottobre 1971 muore Gene Vincent, uno dei profeti del rock and roll. Nato a Norfolk, in Virginia l’11 febbraio 1935, è registrato all’anagrafe con il nome di Eugene Vincent Craddock.

Una canzone fortunata

Figlio di genitori poverissimi, come molti altri ragazzi di Norfolk, sede di una delle più importanti basi navali statunitensi, a soli diciassette anni si arruola in Marina e partecipa alla guerra di Corea. Nel 1955 mentre è impegnato nel suo lavoro di porta-ordini viene investito da un’auto. Nell’incidente riporta una gravissima ferita al piede che, per qualche tempo sembra destinato all’amputazione. Contrariamente alle previsioni, dopo una serie di dolorosissime cure, il piede guarisce ma resta rigido dando alla camminata di Vincent una caratteristica andatura claudicante. Durante la lunga convalescenza l’unica compagnia di Vincent è una vecchia chitarra sulla quel inizia a comporre le canzoni destinate a regalargli la popolarità, anche se la leggenda racconta che Be-bop-a-lula, il suo maggior successo, non sia farina del suo sacco ma sia stata comprata per venticinque dollari da un marinaio suo amico. Alla fine del 1955, congedatosi, inizia a suonare nelle radio locali di Norfolk e, proprio in una di queste, la WCMS, viene scoperto da Bill “Sheriff Tex” Davis, un d.j. che ne intuisce le potenzialità. Nel mese d’aprile del 1956 Gene registra quindi un demo con la sua band, i Blue Caps, formata dai chitarristi Cliff Gallup e Willie Williams, dal bassista Jack Neal e dal batterista Dickie Harrell. Scritturati dalla Capitol, Vincent e la sua band il 4 maggio 1956 registrano a Nashville un singolo con Woman love sul lato A e Be-bop-a-lula sul lato B. Tre settimane dopo un disc jockey di Baltimora inizia a trasmettere a tappeto l’intrigante motivo del lato B e, in poche settimane il disco scala la classifica statunitense, vendendo ben due milioni di copie soltanto nei primi cinque mesi. In rapida successione vengono pubblicati altri singoli come Bluejean bop, Little lover, Maybellene, Race with the devil, She she little Sheila, Lotta lovin’ e Yes I love you baby, mentre Gene Vincent e i Blue Caps sfruttano la crescente popolarità girando in tour tutti gli Stati Uniti.

Il declino inizia presto

Un litigio con il suo manager e un ricovero in ospedale spezzano il sogno. Il ragazzo alla metà del 1957, deve ricominciare tutto da capo, con un nuovo manager e con una nuova formazione dei Blue Caps. Ricominciare non è facile soprattutto quando la stampa conservatrice comincia a criticare la violenza dei suoi concerti, la durezza dei suoi testi, la carica provocatoria dei suoi movimenti sul palco e la dipendenza dall’alcool. In più i tempi stanno cambiando e tira un’aria normalizzatrice che spinge il pubblico a simpatizzare con nuovi artisti dalla voce impostata e dalla faccia dei ragazzi perbene come Frankie Avalon e Ricky Nelson. Gene però non si arrende e il 5 dicembre del 1959 sbarca in Gran Bretagna dove viene accolto dal produttore televisivo Jack Good che gli suggerì di rendere più aggressiva la sua immagine con un completo di pelle nera. In breve diventa un mito del pubblico inglese più giovane. Il 16 aprile 1960 si ferisce nuovamente alla gamba in un incidente automobilistico in cui perde la vita Eddie Cochran e la ripresa è ancora più difficile del solito. Nel 1965, perso lo smalto di un tempo e con sempre più gravi problemi d’alcolismo torna negli Stati Uniti per pubblicare alcuni dischi country per la Challenge Records. Ridotto a trovare spazio nel circuito del revival fatica a tirare avanti nonostante periodici ritorni al successo. Con il fisico ormai minato muore il 12 ottobre 1971 per un attacco di ulcera perforante all’Inter-Valley Community Hospital di Newhall in California.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".