Alla fine degli anni Settanta Fabrizio De Andrè è ormai considerato uno dei più importanti cantautori della storia della musica italiana. Il tempo delle discriminazioni, della censura delle sue composizioni e dell’ostracismo nei suoi confronti da parte della radio e della televisione sembra ormai alle spalle.
Il successo lo spaventa
Gli album La buona novella, Non al denaro, nè all’amore, nè al cielo, Storia di un impiegato, Canzoni e, nel 1978, Rimini vengono regolarmente salutati come capolavori anche da quei settori della critica che un tempo lo snobbavano. Reticente e timido non ama esibirsi dal vivo e, quando lo fa, si sente a disagio. Proprio nel 1978, stanco della monotonia della vita di città e del tran tran quotidiano decide, insieme alla sua compagna, la cantante Dori Ghezzi, di abbandonare il “continente” e di acquistare un’azienda agricola a Lagnata, in Sardegna, una zona nelle vicinanze di Tempio Pausania. L’aria dell’isola e l’isolamento del posto ne fanno un luogo ideale per un artista che ha elevato la riservatezza e la discrezione a stile di vita. È un De Andrè diverso dal cantautore che per anni il suo pubblico ha imparato ad amare quello che si dedica, quasi a tempo pieno, all’allevamento e alla cura dei poderi.
Una trappola
Questo paradiso terrestre cela, però, una trappola. Il 28 agosto 1979 lui e la sua compagna vengono sequestrati da un gruppo di persone armate. Lo scopo del sequestro è evidente: chiedere un riscatto approfittando della popolarità del personaggio. La prigionia non sarà breve. Durerà quattro mesi. Per tutto quel periodo i due artisti verranno tenuti all’aria aperta sugli aspri contrafforti delle montagne sarde e passeranno le notti incatenati agli alberi. Il loro unico riparo sarà un telo di plastica. Dopo la liberazione il cantautore conserverà per sempre i segni della prigionìa e nel suo album del 1981, scritto insieme a Massimo Bubola, descriverà lo smarrimento e le incertezze di quelle notti in una canzone cruda e ricca di suggestione come Hotel Supramonte.